Su iniziativa di amici e compagni, i cinquant’anni dalla morte di Lukács avrebbero dovuto offrire l’occasione per omaggiare Giuseppe Prestipino con una breve raccolta di suoi scritti sul filosofo ungherese. Se non che, a pochi mesi dall’uscita, Su Lukács. Frammenti di un discorso etico-politico (a cura di Lelio La Porta, appendice di Velio Abati, Editori Riuniti, pp. 171, euro 9,40) è dovuta diventare una pubblicazione postuma, doppiamente commemorativa. Ma non solo per questo l’accento viene a cadere sull’autore dello studio, ancor più che sull’autore studiato. La riflessione su Lukács è infatti il modo della formulazione filosofica propria di Prestipino, nutrita costantemente dalla relazionalità dialogica. Dove quest’ultima rappresenta solo il primo aspetto di un’essenza intimamente dialettica.

NEL CORSO della sua lunga carriera, Prestipino ebbe modo di confrontarsi ampiamente con l’oggi classico filosofo marxista, fin dai tempi in cui non godeva di particolare fortuna tra gli intellettuali organici al Pci (di ciò informa l’ampio saggio di Abati, collocato in appendice). Dopo la pagina di La Porta in memoria del maestro scomparso, il volume si apre su brani dal più recente volume che quest’ultimo dedicò a Lukács: nella forma ancora una volta dialettica dell’endiadi, affiancandolo a Ernst Bloch nella polarità di Realismo e Utopia. In memoria di Lukács e Bloch (2002).

Il primo tema – non solo in ordine di presentazione – è quello della democrazia socialista, caro all’ultimo Lukács critico della stalinismo e fecondo per la riflessione sul socialismo del XXI secolo. In che modo realizzare forme di autogoverno dei cittadini? Innanzitutto, a partire dalla profonda «riforma intellettuale e morale» di conio gramsciano. La componente culturale della rivoluzione diviene, per Prestipino, persino più importante del conflitto economico, dal momento in cui lo sviluppo capitalistico ha sussunto l’antagonismo diretto delle masse negli ambigui rapporti della società dei consumi.

NEL PROTAGONISMO consapevole, attraverso «l’autoformazione», è indicata la chiave per superare gli errori deterministici dell’economicismo neopositivista e del suo precipitato politico, il dirigismo burocratico, e il socialismo viene a coincidere con la lotta per un umanesimo integrale.

Al momento etico della riflessione politica si affianca quello estetico, nella disamina della filosofia dell’arte lukácsiana e in particolare del rapporto che in essa occorre tra arte e verità. Dalla giovanile resistenza alla tesi hegeliana della morte dell’arte, della sua perdita di valore di verità, Prestipino descrive il passaggio al riconoscimento del primato logico della filosofia sull’arte. Di nuovo non è il Lukács avversario dell’irrazionalismo a stimolare l’interesse di Prestipino, quanto piuttosto il critico del positivismo staliniano. Al cui schematico realismo letterario e artistico oppose il suo «realismo tipico», sintesi di particolare e universale che è più viva rappresentazione dialettica del sociale, al di là dell’ideologia. Rappresentazione di cui l’ultimo Lukács riconosce il limite soggettivo ed estetico, ma è proprio in questo limite, sottolinea Prestipino, che assume rilevanza etica il punto di vista dello scrittore, e al contempo è garantita la sua libertà da imposizioni esterne.

E NELLA COLLOCAZIONE del volume, per un ritratto fedele dell’autore, alla libertà del possibile è rivolto l’ultimo pensiero: «nella stessa vita sociale i giochi non sono fatti, la partita non è conclusa il comunismo è una decisione, è una volontà razionale che deve affermarsi senza certezze preliminari».