La narrazione che vede negli anni ’70 del secolo scorso un periodo di sperimentazione artistica praticamente a tutti i livelli, è spesso un’esagerazione e una grossolana descrizione di un periodo molto più complesso, ma allo stesso tempo rappresenta per certi versi una cartografia storicamente abbastanza accurata. Così come succede in Occidente anche in Giappone, dal punto di vista prettamente musicale, nel decennio dopo il ’68 avvengono una serie di trasformazioni dettate tanto dai cambiamenti storici, il riflusso postrivoluzionario comincia più o meno nel 1973 ed il boom economico a metà decennio, quanto da quelli tecnologici.

Ecco allora che la scena musicale nipponica, influenzata naturamente da quella occidentale, ma non solo, comincia a cercare nuove zone espressive con il rock elettronico. Isao Tomita con i suoi album è una sorta di precursore, ed il sintetizzatore diventa uno dei centri attorno a cui si sviluppa un nuovo modo di fare musica. Nella seconda metà del decennio Haruomi Hosono porterà la sua esperienza maturata con band di rock progressivo alla fondazione della Yellow Magic Orchestra, da cui emergerà il talento di Ryuichi Sakamoto.

In questo contesto di forte sperimentazione e commistione di generi ed arti si inserisce la nascita del collettivo musicale Geinoh Yamashirogumi, fondato nel gennaio del 1974 da Tsutomu Ohashi, artista, scienziato e musicista, gruppo che nella sua proteiforme formazione arriva ad includere centinaia di persone, fra studenti, musicisti di professione, danzatori, giornalisti, lavoratori autonomi, liberi professionisti e più chi ne ha più ne metta. Simile per struttura libera e composizione fluida dei suoi membri ad un gruppo jazz, cosa che per esempio sarà ripetuta negli anni ’80 e ’90 dai musicisti della band noise dei Boredoms, il collettivo ibrida musiche tradizionali e folk provenienti da tutto il mondo con strumentazioni innovative, sintetizzatori, gridi e suoni prodotti al computer.

Il gruppo che è ufficialmente ancora attivo, anche se il suo fondatore è oramai ottantacinquenne, rimane tutt’ora, al di là dei circoli degli appassionati di musica internazionale, piuttosto sconosciuto, anche se un’esplosione di popolarità quasi improvvisa arriva verso il 1988. È questo l’anno infatti in cui Katsuhiro Otomo sceglie le musicalità e l’alterità sonore del collettivo per accompagnare le apocalittiche immagini descritte dal suo capolavoro animato Akira, dove i suoni prodotti da Geinoh Yamashirogumi accentuano quel senso di tribalismo futuro e di aspettative quasi divine che accendono il lungometraggio animato in tutta la sua durata.

I brani realizzati per la pellicola, Kaneda, Tetsuo o Requiem, sono un amalgama di percussioni di stampo indonesiano, musica sacra giapponese, composizioni classiche e rock progressivo che ben poco avevano a che vedere con quanto realizzato in Giappone fino ad allora, brani che spesso vengono interpretati dalla forma attuale del collettivo in eventi speciali quali festival tradizionali o feste di strada nel Sol Levante.

Del resto questa originalità formata da una mescolanza quasi alchemica di suoni e rumori provenienti non solo da diverse zone del mondo, ma anche da diversi strati della materia, era già pienamente fiorita, anche se in modo più violento e grezzo e legato alla tradizione folklorica nipponica, nel 1977 con Yamato Gensho o nel 1976 con Osorezan/Doh No Kembai. Specialmente quest’ultimo, lo si può facilmente ascoltare su Youtube, è un delirio di urla, declamazioni e piani musicali intrecciati che ha il sapore di una festa dionisiaca caotica ma strabordante di energia, il corrispettivo musicale di una performance butoh.

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