Sentendo parlare di fioriture algali la nostra mente corre a interminabili masse vischiose verdastre o brune che dal nulla appaiono per  invadere le acque costiere e compromettere  i bagni di stagione. Mai immagineremmo un  fenomeno del genere al di sopra dei tremila metri di altezza, fra le cime innevate, sui ghiacciai. E meno ancora che delle microscopiche forme di vita che vivono di poche gocce d’acqua e luce, possano rappresentare una minaccia per  imponenti masse di ghiaccio.

LE ALGHE SONO LE ANTENATE DELLE PIANTE, e nella loro forma più semplice, quella unicellulare, hanno un ruolo fondamentale: a miliardi forniscono agli oceani l’ossigeno necessario alla vita di tutte le specie acquatiche e una volta terminato il loro breve ciclo vitale, con i loro gusci calcarei o silicei, formano il fondale di mari e oceani. L’evoluzione ha fatto sì che alcune di esse siano così straordinariamente selezionate da poter non solo abbandonare i grandi bacini acquatici ma vivere anche  a temperature di molto inferiori allo zero, nel sottile strato d’acqua che si forma sulla superficie dei ghiacciai e delle nevi in disgelo. Dormienti durante l’inverno, si risvegliano con l’arrivo della luce e danno inizio quel processo che  assieme alle piante le pone alla base della catena alimentare: la fotosintesi.  Ed ecco fiorire sul ghiaccio venature colorate che vanno dal rosa al porpora al marrone: colori dovuti ai carotenoidi, i pigmenti che utilizzano per catturare i raggi solari. Un fenomeno che venne osservato addirittura da Aristotele e la cui origine algale è nota da ormai un secolo. E fino qui tutto bene. Se non che sta diventando sempre più evidente il ruolo che  queste alghe  hanno  in uno dei grandi problemi ambientali del secolo: lo scioglimento dei ghiacciai. Ed un ruolo abbastanza consistente.

MA COME FANNO LE ALGHE AD ACCELERARE LA FUSIONE del ghiaccio? Con i loro pigmenti e la sostanza organica prodotta, scuriscono il ghiaccio; qualsiasi oggetto, è noto, più è scuro più assorbe luce. Quindi la conseguenza di queste impurità che rendono il ghiaccio più scuro è la riduzione della capacità di riflettere i raggi solari, detta “albedo”. La superficie terrestre  normalmente assorbe poco più della metà dell’energia proveniente dal sole, il resto viene riflessa. La terra ha infatti un albedo di circa 30%.  La criosfera, ovvero tutto ciò che sul nostro pianeta è neve o ghiaccio, gioca un ruolo  importantissimo nei bilanci radiativi della Terra,  cioè nella quantità di calore assorbito, e quindi sul clima. Quello che succede ai ghiacci più scuri è che la luce non più riflessa viene assorbita, si trasforma in calore e ne accellera la fusione. Nel 2013 una biologa tedesca, Stefanie Lutz, del German Research Centre for Geosciences, scoprì che delle alghe pigmentate di rosso erano responsabili di ben il 13% della riduzione di albedo durante lo scioglimento dei ghiacci. La biologa giunse a identificare un meccanismo detto di feedback positivo, ovvero una sorta di circolo vizioso in cui la scioglimento favorisce la fioritura che a sua volta accellera lo scioglimento. Il ruolo delle alghe venne confermato da altri studi svolti in nel 2017 da un altro biologo, Roman Dial dell’Alaska Pacific University: la penisola di Kenay, in Alaska venne suddivisa in settori, per osservare il tasso di scioglimento in relazione alla presenza o meno di microrganismi: i risultati mostrarono che il 17% dell’acqua di scioglimento proveniva da neve contenente alghe.

LE ALGHE NON SONO LE UNICHE RESPONSABILI dello scurimento dei ghiacciai: sono in buona compagnia con microrganismi quali batteri e particelle di tipo carbonaceo, derivanti da incendi e dall’uso generale dei combustibili fossili, ma anche da detrito minerale e addirittura da polveri sahariane trasportate dall’atmosfera.

Quale sia il ruolo dell’uomo nell’accumulo sul ghiaccio di questo universo che lo scurisce e lo rende più fragile, è una delle sfide che si pongono i ricercatori anche in Italia. Dopo gli studi pioneristici sui ghiacciai artici, ora sono in osservazione infatti anche i ghiacciai alpini.

Il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università Milano-Bicocca sta sviluppando in questo settore una serie di tecniche all’avanguardia, come l’uso di droni e di satelliti. Biagio Di Mauro è un ricercatore del dipartimento e in questo momento sta tenendo sotto costante monitoraggio il ghiacciaio del Morteratsch, facente parte del gruppo del Bernina, dal lato svizzero. Ci racconta che nel 2016, grazie a foto scattate ogni pochi secondi da droni, si sono costruiti modelli tridimensionali che hanno permesso di studiare l’evoluzione del ghiacciaio durante la stagione estiva e stimare il volume di ghiaccio perso durante la fusione: sotto gli occhi dei ricercatori, uno dei giganti freddi delle alpi è diventato più corto di 5 metri e più basso di 6 nell’arco di tre mesi.

ANCHE IN QUESTO GHIACCIAIO, NELL’ESTATE DEL 2016 E 2017, si rilevò il proliferare di alghe che ne colorarono di porpora i margini, complici le stagioni estive particolarmente calde e lunghe. Alghe che appartengono a specie simili a quelle identificate sui ghiacciai artici.

Per capire cosa in generale renda più scuro il ghiaccio e quale sia l’origine di queste sostanze sempre Biagio di Mauro ci spiega che si studiano in particolare dei sedimenti dal nome suggestivo di “crioconiti”: degli accumuli di materiale organico e inorganico che si trovano sui ghiacciai di tutto il mondo e che fanno da vere e proprie cartine al tornasole per la loro analisi.

È PROPRIO NELLE CRIOCONITI CHE PROSPERANO le alghe. Senza voler creare allarmismi, in quanto è da sempre che vivono sui ghiacci, questi studi sono però di importanza fondamentale perché daranno importanti informazioni anche per la dinamica delle calotte polari, la cui fusione incide direttamente sull’innalzamento degli oceani. Inoltre le crioconiti sono risultate interessanti anche per altri motivi: al loro interno sono state trovate concentrazioni altissime di radionuclidi e metalli pesanti. Alcune di queste sostanze sono di origine naturale, ma molte di origine antropica: per quanto riguarda i metalli pesanti, ne sono responsabili industrie e trasporti ; per quanto riguarda i radionuclidi , ha sorpreso i ricercatori il ritrovamento sulle Alpi di sostanze prodotte da incidenti o test nucleari avvenuti anche a grandi distanze, come Fukushima, o risalenti addirittura agli anni sessanta. Quindi i ghiacciai assorbono come delle spugne le sostanze inquinanti, intrappolandole e trattenendole per lunghissimo tempo: con la fusione glaciale, questi inquinanti tornerebbero a diffondersi nell’ambiente. Un motivo in più per preoccuparci della conservazione di questi fondamentali quanto fragilissimi ecosistemi.

MA NON FINISCE QUI: sempre nelle crioconiti sono stati osservate altre sostanze di origine antropica, i pesticidi: che però anziché accumularsi, sembrerebbe vengano degradati dai microrganismi contenuti nelle crioconiti. Squadre di microbiologi sono allo studio di questo ulteriore fenomeno che una volta provato oltre a rivalutare le alghe, potrebbe aprire nuove frontiere per la cura del clima.