Nel suo A quattordici anni smetto. Ragazzi senza più paura (edizioni Zolfo, pp. 208, euro 18) Livia Pomodoro ci consegna un ritratto interessante di adolescenti e ragazzi migranti, emarginati e deviati da famiglia, sfruttamenti vari, solitudine. E anche se nel libro la capacità di riscatto e rinascita è sottolineata – nonostante alcune situazioni siano davvero disperate -, le storie hanno il merito di inchiodare alle loro responsabilità non solo i poteri (criminali e non) ma anche gli adulti, spesso del tutto incapaci di concepire la complessità e stratificazione di un’ardua età di passaggio.
Sono dodici storie, diverse l’una dall’altra, che offrono uno spaccato terribile del nostro tempo visto con gli occhi di individui che si stanno appena affacciando sulla scena del mondo.
Si va da Dorin, che passa dal sottosuolo fognario di Bucarest alla prostituzione a Milano, alle vicissitudini tragiche delle sorelle ucraine Olga e Marja; da Aurora, prigioniera della tratta della prostituzione albanese, a Omar e Driss fratelli marocchini ingannati che finiscono a fare gli spacciatori a Milano; dal piccolo moldavo Petru introdotto alla criminalità dal padre, ai sudamericani Felipe e Soledad, sballottati dalla violenza famigliare fino agli abusi sessuali del vicino di casa. E se alcune delle storie hanno conclusione tragica e rassegnata, altre introducono una nota di speranza che ha spesso del miracoloso.
L’autrice dell’indagine, ex magistrata che si è occupata per anni di minori, non teme il coinvolgimento emotivo: «Vedevo scorrere davanti agli occhi aspre sofferenze di bambini e ragazzi che avrebbero potuto essere miei figli. Riflettevo sul fatto che anche noi, più disposti di altri ad assumerci l’onere dell’accoglienza, alla prova dei fatti non siamo all’altezza di questi sventurati. Le leggi e la burocrazia non riescono a intercettare i drammi e la disperazione di chi non ha un background personale, non ha famiglia, non ha alle spalle qualcuno che sia davvero coinvolto, dalla sua parte nella sua storia».
Introducendo la vicenda di Thomas, ragazzo fuggito dall’inferno della Sierra Leone, scrive: «Non è dissimile da tanti ragazzi, anch’essi in difficoltà nel nostro paese e, se è vero che sono tutti nostri figli, la conseguenza non può che essere quella di un’attenzione genitoriale assolutamente paritaria».
Insomma, una narrazione complessa, che suggerisce uno sguardo «altro» verso il mondo di una società da tempo malata.