Tornano a salire le tensioni tra Egitto ed Etiopia per la «diga della discordia» che Addis Abeba sta costruendo sul Nilo. I negoziati tra i due paesi rivieraschi sono giunti di nuovo a uno stallo dopo che a inizio ottobre l’ennesimo vertice nella capitale sudanese Khartoum è fallito tra accuse reciproche.

L’Egitto ha incolpato «l’inflessibilità» dell’Etiopia, mentre quest’ultima ha criticato il Cairo per aver avanzato una proposta con condizioni irricevibili. «L’accusa secondo cui i negoziati sarebbero giunti a un punto morto è completamente falsa», ha dichiarato il ministro etiope per l’acqua e l’energia. «Alcuni progressi sono stati fatti. Ci sono degli aspetti in sospeso ma crediamo che possano essere risolti prima del completamento della diga».

LA GRANDE DIGA DELLA RINASCITA una volta completata sarà la più grande dell’Africa e la settima al mondo. Lunga 1.800 metri, alta 155, avrà una capacità totale di 74 miliardi di metri cubi d’acqua e una potenza installata di 6.000 MegaWatt, facendo dell’Etiopia il primo esportatore di energia nel continente. La ditta costruttrice è l’italiana Salini-Impregilo, con la quale il governo etiope ha firmato un contratto da oltre 4 miliardi di dollari.

LA SPARTIZIONE DELLE ACQUE del Nilo è da sempre una questione spinosa nella regione. Per decenni l’Egitto ha goduto di un quasi monopolio, garantito da una spartizione fissata da un accordo coloniale britannico del 1929 e da un secondo accordo del 1959 tra il Cairo e Khartoum, nei quali non erano neppure prese in considerazione le esigenze degli altri paesi attraversati dal Nilo (che oggi sono undici) e che concedeva all’Egitto un potere di veto su qualsiasi opera idrica progettata a monte del fiume.

In Etiopia ha origine il Nilo Blu, che contribuisce per oltre l’80% alla portata finale del fiume più lungo del mondo. L’altro affluente è il Nilo Bianco, che incontra il Nilo Blu a Khartoum per poi scorrere verso l’Egitto. Nel 2015 Egitto, Etiopia e Sudan avevano raggiunto un memorandum d’intesa, ma da allora le trattative non hanno mai fatto sostanziali passi in avanti.

Dalla posa della prima pietra nell’aprile 2011 molte cose sono cambiate nella regione. L’Egitto ha attraversato una lunga stagione di rivolta bruscamente chiusa dal colpo di stato militare del 2013, il Sud Sudan è diventato uno stato indipendente nel 2011, di recente in Sudan un’insurrezione popolare ha posto fine al trentennale regime di Omar al-Bashir, mentre l’Etiopia ha risolto molte delle sue controversie interne ed estere e oggi ha un nuovo leader (premio Nobel per la pace) che ha avviato il paese su una coraggiosa strada di riforme e pacificazione.

L’EGITTO (che dipende per il suo fabbisogno idrico quasi interamente dal Nilo) insiste per difendere i suoi «interessi storici», mentre l’Etiopia rivendica il diritto a usufruire delle acque del fiume per sostenere il proprio sviluppo.

L’economia dell’Etiopia è cresciuta in questi anni intorno al 10% annuo, la sua popolazione ha raggiunto i 100 milioni di abitanti e il paese ora vuole approfittare della ritrovata stabilità per rilanciare il proprio ruolo sul piano regionale e continentale. In gioco c’è anche il prestigio e l’orgoglio nazionale dei due paesi, uno in declino, l’altro in forte ascesa.

L’ASPETTO CHE PIÙ PREOCCUPA l’Egitto è quello riguardante i tempi di riempimento della diga (che dovrebbe entrare in produzione già a fine 2020).
Il Cairo teme che tempi troppo accelerati potrebbero portare a una drastica riduzione della portata d’acqua a valle, anche se l’Etiopia garantisce che gli effetti saranno minimi e si è dichiarata disponibile a completare il riempimento in un periodo che va dai 4 ai 7 anni, raccogliendo in buona parte la principale richiesta del Cairo.

L’Egitto da parte sua è già da anni al di sotto della soglia di scarsità idrica, aggravata da una gestione fortemente iniqua della risorsa acqua, anche a causa di politiche sconsiderate nel settore agricolo e dei faraonici mega-progetti del regime. La situazione si ripercuote più duramente sui contadini e sulle città del Delta, afflitti da continue penurie e da una sempre più alta concentrazione di inquinanti e sali. Dopo aver annunciato a gennaio dell’anno scorso che la crisi con l’Etiopia era ormai «risolta», al-Sisi ora ha cambiato retorica e punta il dito contro la rivoluzione del 2011, colpevole a detta sua di aver indebolito il paese e di aver impedito il raggiungimento di un buon accordo sulla diga.

L’esecutivo egiziano ora chiede una mediazione internazionale, e al-Sisi ha annunciato che presto incontrerà nuovamente il presidente etiope in Russia. «Perché abbiamo bisogno di nuovi partner? – ha dichiarato il ministro etiope in risposta alla proposta egiziana – Volete prolungare i negoziati a tempo indeterminato?». Se la prospettiva di un conflitto armato per ora è decisamente irrealistica, la soluzione diplomatica sembra tutt’altro che a portata di mano.