Nessuna intenzione di farsi da parte. Nonostante le inchieste giudiziarie che hanno colpito lui – il governatore leghista del Piemonte – la sua giunta e vari consiglieri a più tornate. Rimborsopoli su tutte. Nonostante i tagli alla sanità e al diritto allo studio e un crescente malcontento sociale, Roberto Cota sta fermo, non si dimette come chiede a gran voce l’opposizione. Si sente «un baluardo» e ha intenzione di onorare il suo mandato. Intanto, il consiglio regionale, a testimonianza del clima infuocato, ieri si è trasformato in un ring, con tanto di rissa tra consiglieri.

L’aria a Palazzo Lascaris è tesa. Indagato per peculato nell’inchiesta sulle spese pazze dei gruppi regionali, il presidente, è, a sorpresa, intervenuto in consiglio, ritardando di qualche ora il viaggio istituzionale in Giappone. «Da una semplice notifica di chiusura indagini – ha rimbrottato – è partita una violenta campagna diffamatoria, un vero e proprio attacco alla democrazia rappresentativa». I pm sostengono che Cota avrebbe chiesto la restituzione illecita di 25mila euro. A incastrarlo, i tabulati del suo cellulare, attraverso i quali la guardia di finanza ha potuto accertare come avesse mentito ai magistrati durante l’interrogatorio. Risulta, per esempio, essere stato nell’autogrill dove aveva negato di aver fatto acquisti. O di essere in Lombardia, quando metteva a rimborso la ricevuta di una cena a Torino da 282,40 euro. Non avendo il dono dell’ubiquità, Cota avrebbe mentito 115 volte, «pizzicato» in luoghi diversi rispetto a quelli in cui, sulla base degli scontrini, doveva essere. Dovrà, inoltre, chiarire perché ha acquistato doni di nozze e battesimo a spese dei contribuenti piemontesi.

Insieme al governatore sono indagati 42 consiglieri (all’inizio dell’inchiesta erano tutti e 56), la parte da leone la fanno il Pdl, 19 e la Lega, 11. Le spese vanno dall’acquisto di pneumatici al tosaerba, di lavatrici all’ingresso al solarium, di vassoi d’argento a profumi. Fino ai 12 mila euro di vestiti acquistati in una boutique d’alta moda da Franco Maria Botta (Fratelli d’Italia), che, ieri, dopo aver etichettato i giornalisti come «topi di fogna», ha aggredito verbalmente Mercedes Bresso, alzandosi dai banchi e impedendole di parlare. Aldo Reschigna, capogruppo Pd, si è alzato per difendere l’ex presidente. Nel parapiglia sono caduti a terra Botta e il vicepresidente dell’assemblea Roberto Placido (Pd), che cercava di separare i colleghi.

La «serenità» invocata da Cota è più che effimera. L’opposizione chiede il termine anticipato di una legislatura drammatica. Eleonora Artesio, capogruppo della Federazione della sinistra, dopo aver sottoscritto nei mesi scorsi due mozioni di sfiducia, ha proposto una raccolta di firme per le dimissioni, la quota da raggiungere è 31, sette in più rispetto ai consiglieri d’opposizione, un obiettivo non impossibile viste le divisioni nel centrodestra. «Oltre alle indagini giudiziarie a bocciare la legislatura Cota – spiega Artesio – ci sono politiche qualitativamente disastrose. Ora prevale l’immobilismo, ma il 9 gennaio la situazione potrebbe precipitare». È il giorno dell’udienza al Tar sul ricorso di Bresso a proposito delle firme false di Michele Giovine (Pensionati), che potrebbe invalidare le elezioni del 2010. Il Pd, tranne l’ex presidente Bresso (a cui viene contestato il finanziamento illecito ai partiti), non ha indagati. Dopo tentennamenti ha detto sì alle dimissioni di massa, ma non sa ancora quando. Il M5s con Bono ha presentato una nuova mozione di sfiducia. Cerutti (Sel) parla di «tempo scaduto».