Chissà se l’attuale epidemia, con le sue tante esecuzioni capitali comminate dall’anagrafe, segnerà davvero la fine del Novecento per gli storici futuri. Pur tenendo conto del trauma planetario, credo che la periodizzazione rimarrà come al solito incerta, mentre dagli archivi del ventesimo secolo usciranno altri faldoni pieni di sorprese. Non si tratterà solo di inediti, come non è inedito The Circus of the Sun di Robert Lax (1915-2000), che però viene ora tradotto in italiano per la prima volta, grazie all’iniziativa del Ponte del Sale, associazione e casa editrice di Rovigo guidata con saggezza da Marco Munaro: Il Circo del Sole, a cura di Giampaolo De Pietro e Graziano Krätli (traduzioni dello stesso Krätli e di Renata Morresi, postfazione di Andrea Raos, disegni di Francesco Balsamo, Il Ponte del Sale, pp. 126, euro 20,00).
Se per l’Italia si può parlare di una scoperta tardiva, l’autore e la sua prima raccolta poetica, uscita nel 1959, sono in realtà riferimenti stabili nella costellazione letteraria statunitense moderna. Lax ha avuto anche un’esauriente biografia (Michael N. McGregor, Pure Act. The Uncommon Life of Robert Lax, New York, Fordham University Press, 2017) e può contare su un Literary Trust che ne custodisce le memorie, e in particolare l’archivio presso la St. Bonaventure University di Allegany (NY); inoltre la sua corrispondenza con Thomas Merton, del quale fu amico strettissimo fin dagli anni dell’università, lo mantiene nella zona nobile delle mappe novecentesche (When Prophecy Still Had a Voice. The Letters of Thomas Merton and Robert Lax, ed. by Arthur W. Biddle, Lexington, The University Press of Kentucky, 2001).
La prima parte della vita di Lax è errabonda: nato a Olean (nello stato di New York) da una famiglia ebrea di origine austriaca, il giovane irrequieto si muove qui e là tra varie occupazioni, alla ricerca della sua strada. Non condivide forse gli eccessi della beat generation, ma il rifiuto delle convenzioni e la propensione al vagabondaggio esperienziale lo avvicinano a Jack Kerouac, che diventa suo amico e lo definisce «semplicemente un pellegrino in cerca della bella Innocenza, che scrive pieno di amore e la trova, semplicemente, a suo modo». Il 1943 è un anno cruciale per Lax: entra in contatto con la famiglia italiana Cristiani, che gestisce un circo e si è trasferita in America. L’incontro con quegli artisti, che sono innanzitutto straordinari acrobati a cavallo, è fulminante: lo scrittore è sedotto dai loro nomi esotici (Ortans, Belmonte, Mogador…) e dalle loro impressionanti capacità individuali in grado di fondersi in una comunità familiare e spettacolare insieme. Nello stesso periodo si converte al cattolicesimo, scelta centrale anche per la sua poesia, e il cortocircuito tra la fede e il circo produce in lui un’ispirazione potentissima, che darà molti frutti.
Nel 1949 Lax si unisce ai Cristiani per una tournée di qualche mese in Canada; dà una mano e si esibisce talvolta nelle vesti del clown Chesko. Nasce così The Circus of the Sun, stampato a New York nel 1959 con le illustrazioni di Emil Antonucci, un libretto intenso e ancor oggi sorprendente, nelle cui liriche la vita del circo, con i suoi spostamenti, la sua operosa quotidianità e i suoi favolosi protagonisti, diventa metafora della Scrittura e della sua storia di salvezza. La costruzione del tendone rappresenta la creazione del mondo («Abbiamo visto tutti i giorni della creazione in un solo giorno … vedemmo levarsi il tendone e abbiamo conosciuto com’era l’inizio… abbiamo conosciuto queste cose dall’inizio del giorno, perché ci svegliammo di buon’ora») e tutti i momenti della preparazione dello spettacolo si caricano di simboli e allusioni, fino alla comparsa in scena del giocoliere Rastelli, evocato in un ricordo («Era bravo a fare il giocoliere / a parlare / durante il caffè. / Amava tutti / morì facendo il giocoliere / per tutti / Morì / Oscar mi confidò a bassa voce / a 33 anni / L’età di nostro Signore»). Ogni pagina abbonda di stupore, come nel rivelarsi di un mistero totalmente luminoso: la notte è fuori, dentro il tendone c’è solo la luce; e la luce è la grande protagonista del libro: torna in continuazione, nominata o significata dai suoi effetti, con una fiducia che è propria della grande letteratura mistica. Chissà quanto il cognome dei Cristiani, suoi compagni di viaggio, possa suggestionare Lax («Ora nel raccontare la storia / della famiglia Cristiani / dei loro primi inizi / e della nascita tempo addietro / e del loro sorgere dalla terra / verso lo splendore della luce / noi diciamo della creazione… del sorgere e del ricadere… poiché ciascun uomo redento / è nato di nuovo»); certamente la sua sensibilità legge anche questo segno come una prova della grazia, che cerca di ricevere e trasmettere lungo tutta la sua vita. La lingua poetica di Lax (ottimamente resa dai suoi due traduttori italiani) ha una forza di primigenia semplicità, a escursione lessicale ridotta, e però altamente espressiva dello stupore miracoloso. In alcuni punti si intravvede il Lax successivo, quello minimalista delle lunghe sequenze di elementi oppositivi, ma qui c’è ancora una volontà di racconto e di accensione dell’immagine memorabile.
Nel 1951, in Italia, Lax si unisce a un altro circo – l’Alfred Court Zoo Circus diretto dal clown Alfredo Zavatta – per un viaggio da Roma a Pescara, che diverrà oggetto di un ulteriore libro (Voyage to Pescara). Questo è però un’opera diversa, composta da versi e da frammenti di diario, senza la ricerca dell’incanto luminoso che aveva dato forma a The Circus of the Sun. E un decennio più tardi, dopo molte peregrinazioni, il poeta mistico trova il suo posto nelle isole greche: per un breve periodo a Kalymnos e, dal 1964 fino a pochi mesi prima della morte, a Patmos, l’isola di san Giovanni e dell’Apocalisse. Lì, vivendo da eremita in una casetta incastrata nell’impervio villaggio di Skala, con la compagnia dei suoi gatti, Lax prosegue il suo cammino spirituale e artistico, fatto di assidua rarefazione e salmodia delle parole, opposta al frastuono di un mondo alla deriva tra guerre e follie da consumo.
La sua anziana figura monastica, frugale e pronta al guizzo dell’ironia, si può incontrare in un film del 2000 intitolato Why should I buy a bed when all I want is sleep?, che conserva anche la sua voce gentile e ferma mentre recita poesie lunghe e filiformi nel bianco e nero di una Grecia spinta fuori dal tempo. È bello che il film circoli nella galassia di Youtube, come pure un raro footage Metro Goldwin Meyer datato 1936, nel quale volteggiano a cavallo, perfettamente coordinati, gli undici fratelli Cristiani («The world greatest riding act»).