Pechino prepara il palcoscenico. E vorrebbe che restasse al centro dell’inquadratura, non messo in secondo piano da un’invasione, neppure se condotta da quello che definisce «amico speciale». D’altronde, Vladimir Putin entrerà in quella stessa inquadratura insieme a Xi Jinping, quando lo incontrerà per l’inaugurazione dei Giochi Olimpici Invernali. La Cina continua a ripetere di comprendere le ragioni di sicurezza russe in merito al dossier ucraino. Lo ha fatto il ministro degli Esteri Wang Yi nella telefonata di qualche giorno fa col segretario di Stato Antony Blinken, durante la quale ha difeso le «preoccupazioni» russe sull’espansione a est della Nato. Ma allo stesso tempo Pechino invita le parti al dialogo. Zhang Jun, ambasciatore presso le Nazioni unite, ha chiesto un confronto diretto tra Mosca e Kiev per trovare una soluzione pacifica. La Cina ha rapporti proficui sia con la Russia sia con l’Ucraina, che dal 2020 ha nella Repubblica Popolare il principale partner commerciale e che lo scorso anno ha ritirato la firma a una condanna dell’Onu sullo Xinjiang.

LA RELAZIONE con Mosca è privilegiata ma si tratta di una partnership per ora non sfociata in alleanza. Secondo analisi citate dal South China Morning Post, Pechino non sceglierà da che parte stare e manterrà un atteggiamento che Zhang Xin della East China Normal University di Shanghai definisce «flessibile ma vago». Sui media cinesi le responsabilità della crisi non vengono attribuite all’Ucraina, ma solo a Nato e Stati uniti, agenti provocatori e portatori di instabilità. Washington, come dimostra la telefonata di Blinken, sta peraltro cercando di convincere Pechino a mediare e utilizzare la sua “influenza” sul Cremlino, il quale a sua volta ha fatto sapere a più riprese di tenere informato il governo cinese sull’andamento dei negoziati.

Xi, che si appresta a ricevere Putin, guarda alla crisi ucraina anche per scrutare le eventuali reazioni dell’occidente di fronte a un’eventuale invasione. Il pensiero va inevitabilmente a Taiwan, definita una «enorme polveriera» dall’ambasciatore cinese a Washington in un’intervista alla radio Npr. Qin Gang ha dichiarato che «se le autorità di Taiwan, incoraggiate dagli Stati uniti, continueranno a percorrere la strada dell’indipendenza, è probabile che la Cina e gli Usa saranno coinvolti in un conflitto armato». La stessa presidente taiwanese Tsai Ing-wen sembra avere in qualche modo collegato i due fronti, dicendo di provare «empatia» per Kiev: «Affrontiamo minacce militari della Cina e intimidazioni da molto tempo. Pertanto, ci immedesimiamo nella situazione dell’Ucraina». Domenica scorsa è stata registrata l’incursione di 39 aerei cinesi, la più grande da inizio ottobre. Il giorno successivo ne sono stati segnalati altri 13 compresi due J-16, mezzi da guerra elettronica in grado di interferire coi sistemi radar. Le nuove incursioni arrivano in risposta alle precedenti esercitazioni navali Usa-Giappone che hanno portato tre portaerei di Washington nei pressi di Taiwan. Ma anche all’accelerazione della vendita di nuovi F-16 all’esercito taiwanese, nonché al primo vertice interparlamentare sulla sicurezza tra i partiti di maggioranza di Tokyo e Taipei.

IL CONGRESSO americano sta lavorando a una nuova legge bipartisan sui rapporti con Pechino che prevede il cambio di denominazione dell’ufficio di rappresentanza di Taipei a Washington, seguendo lo schema che ha fatto saltare i rapporti tra Cina e Lituania. Giovedì il vicepresidente taiwanese William Lai ha avuto un breve dialogo con la vicepresidente americana Kamala Harris in Honduras, durante la cerimonia d’insediamento di Xiomara Castro. Due giorni prima aveva incontrato dei deputati in California. Tutti segnali di un rapporto in costante approfondimento.

TAIPEI E KIEV restano comunque lontane, anche agli occhi di un Partito comunista che ritiene Taiwan un «affare interno» e non paragonabile alla vicenda ucraina. Diverso anche il grado di coinvolgimento di Washington in quello che è ormai considerato il teatro strategicamente prioritario, vale a dire il Pacifico. Ma forse a Kinmen o Matsu non dispiacerebbe che, alla fine, dalle parti di Kiev prevalga quello che la Cina dice di auspicare: il dialogo.