Quello che Sergio Mattarella pensa della legge elettorale è chiaro da chiaro. Il parlamento deve metterci le mani, con i due sistemi diversi attualmente in vigore per camera e senato non è possibile andare a votare. Il presidente lo aveva detto ancora prima che la Corte costituzionale decapitasse l’Italicum, perché bocciata la riforma costituzionale il 4 dicembre aveva ben capito in quale incaglio fosse finito il sistema (non che non lo avessero avvertito diversi costituzionalisti quando si trattò di promulgarlo, l’Italicum). Il suo monito più forte sul dovere delle camere di dare al paese leggi elettorali «omogenee, non inconciliabili e pienamente operative» il presidente lo aveva espresso quattro mesi fa, con Renzi appena uscito di scena in conseguenza di quella sconfitta referendaria. Sempre molto misurato negli interventi, ha deciso di ripeterlo ieri, quando Renzi si prepara a rientrare vincendo le primarie del Pd.

MATTARELLA HA RICEVUTO a pranzo i presidenti Boldrini e Grasso per consegnare loro un messaggio rivolto ai gruppi parlamentari: «L’urgenza di una nuova normativa elettorale per la camera e il senato e l’elezione di un giudice costituzionale», due passaggi imprescindibili «per il funzionamento del nostro sistema istituzionale». La convocazione della seconda e terza carica della Repubblica al Quirinale è la forma più solenne a disposizione del capo dello stato – se si esclude il messaggio alle camere. Che però avrebbe, in concreto, solo allungato i tempi della discussione. Al Quirinale si è sempre molto attenti ai precedenti e la mossa di ieri si richiama più che agli interventi di Napolitano, che consultava i partiti direttamente e poi inviava ripetuti messaggi ai presidenti delle camere, a quello che fece Ciampi nel ’99 convocando Violante e Mancino proprio per sollecitare le camere alla riforma della legge elettorale. Questa volta però c’è, neppure troppo sullo sfondo, un contrasto di visioni tra il presidente della Repubblica e il leader, rientrante, del primo partito.

NON C’È MARGINE di dubbio su cosa intenda fare Renzi da lunedì prossimo. Tenterà in tutti i modi di chiudere la legislatura il prima possibile e anticipare il voto a settembre. Sentendosi rilegittimato – lo ha detto – dagli «italiani», intendendo per questi il milione o due di elettori Pd che parteciperanno alle primarie. Ma i tempi del parlamento escludono che si possa arrivare a settembre con un nuovo sistema di voto. La discussione è ferma da due mesi in prima commissione alla camera. Alla spinta di Mattarella ha risposto immediatamente, ieri sera, la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Fissando una data, il 29 maggio, per l’approdo della discussione in aula, anche se la commissione a quel punto non avrà ancora concluso i suoi lavori. Il relatore Mazziotti presenterà per questo la prossima settimana un testo base, che dovrebbe essere centrato sui collegi uninominali e sul sistema proporzionale. Non è una vera accelerazione, così come non lo era il generico impegno dei partiti ad approvare un testo alla camera entro l’estate. In mancanza di un accordo i problemi sono solo rinviati al momento in cui si passerà ai voti, e poi eventualmente alla discussione in senato.

COSÌ STANDO LE COSE, è prevedibile che con il passare – invano – delle settimane, lo scontro sarà tra chi sostiene che si possa votare comunque con i due sistemi attuali e chi no. Mattarella sostiene di no. Anche perché sarà lui, dal Quirinale, a dover gestire gli «esiti non chiari» delle elezioni che ha paventato già a dicembre scorso. I renziani da tempo spiegano, invece, che i due sistemi in vigore per camera e senato non sono in realtà così incompatibili. Le soglie alte del senato funzionerebbero come il premio di maggioranza che c’è, al momento, solo alla camera. Un argomento più forte sul funzionamento dell’abbinata Consultellum-Italicum senza ballottaggio è però nascosto nei silenzio di Renzi, quando gli si chiede – come ancora ieri sera nel confronto su Sky – se si sente di escludere le larghe intese con Berlusconi nella prossima legislatura.

SULLA NUOVA LEGGE elettorale il presidente della Repubblica ha le sue preferenze, l’abolizione dei capilista bloccati per ridare ai cittadini la possibilità di scegliere i parlamentari è fra queste. L’allargamento al senato dell’Italicum residuo – idea dei 5 Stelle che piace anche a Renzi, alla Lega e ad Alfano – riproporrebbe invece questo difetto. La vecchia legge che porta il nome di Mattarella era costruita sui collegi uninominali. Ma naturalmente il capo dello stato non entra nel merito. Il fatto che il Pd renziano sia rimasto immobile per due mesi sul Mattarellum, ben sapendo che non aveva i numeri, è servito a produrre lo stallo. A questo punto per Mattarella andrebbero bene anche modifiche minime – soglie, premio e preferenze – per consentire il voto anticipato, una soluzione che non preferisce ma che non ha mai escluso. Sa però che molto presto Renzi comincerà a chiedergli altro. Per questo lo ha anticipato.