In caso di vittoria del No non tutto il Pd seguirà Renzi nei suoi eventuali propositi avventuristi. È il messaggio che comincia a circolare nelle file dem in risposta alle fosche profezie di Renzi. Governo tecnico, governicchio, otto banche pronte a fallire secondo il Financial Times, lo spettro dell’instabilità sul paese, delle elezioni come se fossero una maledizione. Il premier apre l’ultima settimana prima del referendum dando fondo alle fantasie più noir sul futuro del paese. Pazienza se cade in qualche contraddizione. Se ai suoi inizi era un grande estimatore del governo ’tecnico’ di Monti («Bisogna assolutamente proseguire con la sua agenda», diceva nel libro di Bruno Vespa anno 2012) ora sbeffeggia The Economist che augura i ’tecnocrati’ all’Italia: «Quando sentono parlare di governo tecnico, gli italiani secondo me portano le mani alla bocca per tacere», dice oggi a Radio Capital.

Il Quirinale da giorni lavora per attenuare questo genere di affermazioni deleterie per il paese, sparse a manate da Palazzo Chigi e famigli. Non a caso ieri Mattarella ha spiegato a un gruppo di studenti che il suo «è un lavoro che in larga parte non si vede, la persuasione è più efficace se non viene proclamata in pubblico». Ora anche la minoranza Pd comincia a scoprire qualche carta nella stessa direzione.  Lo ha fatto attraverso Roberto Speranza che ieri ha parlato in sostanza a nome dei quaranta parlamentari schierati per il No. «Non ci sarà nessun vuoto di potere. È da irresponsabili cavalcare la paura e dire che la vittoria del No sarebbe un salto nel buio lasciando così spazio alla speculazione a cui si inizia ad assistere in queste ore», dice. Fin qui sarebbe la solita propaganda opposta a quella del governo. Ma Speranza aggiunge un ragionamento che va oltre. «Tutti i parlamentari del Pd che votano No si impegnano a evitare vuoti di potere», dice, «nessuno di noi ha chiesto a Renzi le dimissioni in caso di vittoria del no. Se Renzi per sua autonoma scelta dovesse dimettersi sarà il Presidente della Repubblica ad indicare un percorso per garantire al paese la stabilità. Il Pd con i suoi 400 parlamentari sarà determinante e non potrà che essere in ogni caso il cardine della governabilità».

Il messaggio è preciso, anche numerico. Per sostenere un governo tecnico o istituzionale, ma soprattutto per non sostenerlo, o non sostenerlo a lungo, Renzi avrà bisogno che tutti i suoi parlamentari lo seguano sulle sue decisioni. Ma la minoranza Pd avverte che non farà mancare i suoi voti «alla stabilità», ovvero opponendosi a qualsiasi ordine del Nazareno volto a far saltare il banco.

Insomma la minoranza avverte che si schiererà contro la precipitazione al voto anticipato. Argomento che, se all’apparenza cerca un effetto tranquillizzante sui mercati, ha un suo ascendente sui parlamentari. Non solo, ma soprattutto quelli del Pd. Che già nel febbraio 2014 preferirono defenestrare il governo «a scadenza» di Enrico Letta (che si era dato 18 mesi per le riforme e poi riportare il paese al voto) per  eleggere Renzi. Con l’impegno che la legislatura arrivasse a scadenza naturale.