I tempi della crisi si allungano, e Giorgio Napolitano mette sul piatto della bilancia tutto il peso del Colle. Un comunicato affidato ai soliti «ambienti del Quirinale» laconico e, tra le righe, durissimo. Il capo dello Stato non pensa al da farsi nell’eventualità di una crisi di governo perché, «avendo già messo nella massima evidenza che l’insorgere di una crisi precipiterebbe il Paese in gravissimi rischi», confida in Berlusconi e nelle sue «ripetute dichiarazioni» di sostegno al governo. Significa che la crisi diventerebbe per il Colle uno scontro diretto e all’ultimo sangue con il quasi ex senatore Silvio Berlusconi.

Il monito arriva dopo che per tutto il giorno si erano sparse voci su un possibile messaggio a reti unificate del presidente ove davvero le reti Mediaset diffondessero il video già registrato dal Silvio furioso. Quel video, con i prevedibili e violentissimi attacchi contro la magistratura, renderebbe la crisi inevitabile, senza neppure aspettare il primo voto della Giunta per le immunità, quello sulla relazione di Andrea Augello, dal cui esito Berlusconi fa dipendere le sorti del governo.

Dopo l’accelerazione e l’improvvisa frenata di mercoledì, ieri è andato in scena lo stesso copione che si ripete, con insopportabile monotonia, da un mese circa. Il Pdl ha ripetuto che un voto a favore della decadenza di Berlusconi sarebbe la pietra tombale per il governo. La colomba Schifani è stata più perentoria e fragorosa di tutti i numerosi altri: «Vedo la crisi avvicinarsi. Stare con chi ti vota contro è impossibile». Il Pd ha risposto che su quel voto non può esserci dubbio di sorta. «Non possono aspettarsi comportamenti divergenti da quelli che abbiamo sempre avuto e questo tentativo di buttare la palla nel nostro campo è stucchevole», taglia cortissimo Bersani al termine della segreteria Pd.

Però, per staccare la spina, Berlusconi vuole che le parole si traducano in un voto. Prima di tutto perché senza un fatto concreto gli sarebbe difficile la manovra propagandistica consistente nell’addossare al Pd le responsabilità della rottura. E poi, ma forse soprattutto, perché questo gli chiedono Letta, Confalonieri e Marina. Non perché sperino in una resa del Pd. Solo per dare un po’ di tempo ancora alla ricerca di una soluzione diplomatica e ritengono che lo stesso messaggio del Colle indichi anche una possibile riapertura delle trattative.

Quel voto della Giunta non arriverà lunedì prossimo. La relazione di Augello punterà non sul ricorso alla Corte costituzionale, di fatto già bruciato dal dibattito agostano, ma sul ricorso a Strasburgo tra l’altro così motivato: la legge Severino che impedisce a Berlusconi anche la candidatura europea non esiste in altri paesi europei, col che si creerebbe un contrasto con la convenzione sulla libera circolazione di persone e merci che solo la Corte di giustizia di Strasburgo potrebbe chiarire e appianare. Subito dopo si avvierà la discussione generale, che non si concluderà certo in giornata. La Giunta dovrà quindi decidere se aggiornarsi al giorno seguente, come chiede il M5S, o al lunedì successivo, come sinora ha chiesto il Pdl, oppure a venerdì 13, classica mediazione (scaramanticamente sconsigliata). Solo a quel punto si voterà sul testo di Augello e, quando il Pd avrà bocciato anche l’ultima scappatoia, Berlusconi dovrà assumere una decisione irrevocabile.

In concreto, significa dare ai pontieri e mediatori un’altra settimana di tempo per cercare una via d’uscita. Ma se prima del voto piombasse dal video un messaggio incendiario, anche quell’ultima, e per la verità quasi inesistente possibilità di accordo in extremis svanirebbe. Non a caso la falchissima Santanché annuncia la messa in onda «imminente». In base ai programmi iniziali, la videodichirazione di guerra dovrebbe esplodere domenica ma, come fanno notare ufficiali e sottufficiali di Arcore, nulla vieta di rinviare il momentaccio e neppure di rimettere mano al contenuto per ammorbidirlo.

Dare il via libera a quel messaggio o buttarlo nella spazzatura: di qui al week end questo è il dilemma che terrà sveglio Berlusconi. Dichiarare la guerra totale o rassegnarsi a una mediazione molto vicina alla resa: questo è invece il dubbio amletico che dovrà risolvere, nel giro di una decina di giorni al massimo. In entrambi i casi la scelta dipenderà da un elemento solo: la disponibilità alla guerra totale con l’uomo che proprio Berlusconi più di ogni altro ha voluto mantenere per altri 7 anni al Quirinale.