Il tortuoso viaggio di un’anima attraverso lo sconvolgimento di una guerra, il percorso di formazione al termine del quale la salvezza è destinata a passare attraverso la fragilità della pace, intesa come concordia fra i popoli ma anche accettazione e perdono dei singoli. Il regista Claus Guth parte ancora una volta dagli intrecci profondi con la storia per leggere la vicenda umana, spirituale e ideale di Parsifal, alla luce dell’ immane rivolgimento creato dal primo conflitto mondiale.

Una data precisamente connessa alla vicenda della partitura, che prende vita sulla scena proprio in quel 1914 in cui per la prima volta il Parsifal poteva essere rappresentato al di fuori del ‘tempio’ di Bayreuth, secondo le precise volontà di Wagner. L’approdo al Teatro Real di Madrid per tutto il mese di Aprile di questa produzione, creata a Zurigo e già vista a Barcellona, ha acceso il pubblico della capitale spagnola, che peraltro ha trovato un nuovo forte motivo di interesse nella presenza di un cast eccellente, guidato sul podio da Semyon Bychkov.

Non sono poche le questioni lasciate volontariamente aperte da Guth, che trasforma l’eremo di Monsalvat in un ospedale per feriti e mutilati di guerra. Nella scena rotante a due piani disegnata da Christian Schmidt – che firma anche i costumi – il Graal appare come ultimo residuo di una fede ridotta a povero barlume di un rito ormai senza forza. Guth unisce poi nel segreto lacerante di una faida fra fratelli il mago Klingsor ( l’aggressivo Evgeny Nikitin) e il nevrotico, devastato cavaliere peccatore Amfortas (Detlefl Roth), creando le premesse per un toccante disvelamento conclusivo.

Tramuta infine nel successore di Amfortas e Titurel ( il tonante Ante Jerkunica) il puro folle Parsifal , Chrstian Elsner, corretto nel canto ma scenicamente assai poco credibile, imponendogli una divisa militare che allo scoccare degli anni ’20 non può che suggerire lo sviluppo di devozione spirituale dai contenuti minacciosi: un’allusione precisa al futuro uso scelleratamente strumentale del teatro wagneriano a fini di propaganda e di mitopoiesi del regime nazista.

In un simile impianto finiscono per grandeggiare da una parte l’incrollabile autorità spirituale di Guernemanz ( un Franz Josef Selig esemplare per fraseggio, sensibilità e compostezza), vero elemento pivotale del dramma, e dall’altro la indomita forza selvaggia incarnata da Kundry, cui Anja Kampe ha prestato voce, gesto scenico e sottigliezza interpretativa di profilo notevolissimo. Anche se probabilmente non convinto dalle lumeggiature della drammaturgia che Guth sovrascrive sulla narrazione già densa di simbolismi segreti di Parsifal, Bychkov ha realizzato una narrazione toccante ma sempre cristallina, bilanciata nel fraseggio curato e mobilissimo, in un’attenta gestione dei piani sonori, che persino nelle pagine più laboriose non cessano di catturare l’interesse del pubblico, che a fine serata, dopo quasi cinque ore di musica, ha salutato cast direttore e masse con un accoglienza estremamente calorosa