Il festival si avvia alla grande con l’anteprima del restaurato Othello di Welles, uno di quei cult che è ottima cosa rimettere in circolazione perché la sua tumultuosa storia produttiva da indipendente un po’ corsaro come era Orson, emerge nitida nelle sue immagini, con l’energia della sua creatività visionaria. Non tutti sanno che l’idea dell’Othello venne a Welles proprio in occasione della presentazione a Venezia del Macbeth, in compagnia di Lea Padovani, di cui era follemente geloso. Welles era venuto in Italia, chiamato da una delle produzioni americane girate a Roma nel dopoguerra, il Cagliostro di Ratoff (all’interno delle cui riprese Davide Ferrario ha ambientato il documentatissimo giallo Dissolvenza al nero.)

 
Ma come mai Welles viene in Italia e ci rimane dal 1947 al 1953, sposandosi persino (con Paola Mori)? Perché è amareggiato per i suoi scontri continui con lo Studio System, pieno di debiti e preoccupato per le svolte politiche repressive dell’HUAC, che avrebbero messo in questione la sua partecipazione attiva alla politica newdealista (con i suoi innovativi lavori nel Federal Theatre e come ghost writer e speaker per Roosevelt in campagna elettorale). Quello che non sapeva era che in Italia Quarto potere non era ancora uscito e gli altri suoi film da regista avevano avuto una modesta circolazione, oltre a scontrarsi con il gusto di una critica provinciale e schierata ideologicamente a favore del neorealismo, quindi poco disposta ad apprezzare l’estetizzante mondo di suoni e immagini del nostro (senza dimenticare che molto del suo sofisticato lavoro sul suono andava perso nei doppiaggi italiani.)

 
Chi immagina tappeti rossi quindi si sbaglia di grosso: l’accoglienza italiana a Welles, per tutta la durata del suo soggiorno, non fu certo nel segno dell’ospitalità artistico-politica che ci si poteva aspettare, nonostante il suo incontro con Palmiro Togliatti, le sue ricerche su Cagliostro in Vaticano e una frequentazione assai attiva della nascente Dolce Vita. Della sua esperienza in Italia ha scritto Alberto Anile nel documentatissimo Orson Welles in Italia, cui rimandiamo per un’accurata ricostruzione del making di Othello, da accompagnarsi possibilmente con la visione di Filming Othello.
Il progetto dell’Othello è stato quasi un’ossessione per Welles che, innovativo interprete in teatro di Shakespeare voleva girare nei luoghi naturali dell’azione. Come nel caso del Wodoo Macbeth con un all-black-cast anche in questo caso l’originalità interpretativa del nostro sta nell’enfatizzare (precocemente) la componente razziale. Più di un semplice gossip il fatto che il direttore di produzione del film, fosse l’amante della Padovani.

 

 

Mentre negozia la produzione con la Scalera (che però vorrebbe un film con personale italiano per attingere ai fondi statali) accetta di recitare nel Principe delle volpi girato dagli americani in Italia e poco dopo Il terzo uomo (anch’esso restaurato e ora in circolazione-un must) per finanziare l’inizio delle riprese di Othello. Dall’ottobre 1948 gira a Venezia con un cast misto, inclusa la Padovani nel ruolo di una bionda Desdemona, ma alcune sfortunate circostanze e la scoperta del tradimento di Lea bloccano le riprese; persa la protagonista Welles butta via un’ora e mezza di film.

 

1VISDXaperturaOTELLO di ORSON WELLES (1)

Le riprese del film durarono quindi più di tre anni, perché oltre ai problemi sentimentali del nostro (alle prese anche con un costoso divorzio da Rita Hayworth), trovare i soldi per la produzione non fu facile; Welles ci riuscì solo recitando in film di diverso spessore.
Girare in set reali era una novità per Welles, autore più espressionista che realista, ma in questo caso era affascinato dall’uso i location reali come nel coevo cinema neorealista, anche perché gli americani avevano trasformato Cinecittà in un campo profughi per impedire o quantomeno ostacolare la ripresa della produzione cinematografica italiana. D’altro canto gli spazi architettonicamente eccezionali di antichi palazzi e chiese stimolano in quegli anni in Italia un nuovo modo di fare cinema fuori dagli studios, adottato anche nella Hollywood sul Tevere. Le produzioni americane in Italia (o Europa) erano un modo per utilizzare i fondi dei lauti incassi congelati dai vari stati europei negli anni difficili della Ricostruzione, ma anche per allontanarsi da una Hollywood paranoica e col fiato corto e sfruttare il paesaggio continentale.

 
Oltre che all’Othello Welles lavora in Francia e su altri progetti come attore, ed è interpretando La rosa nera in Marocco che scopre in Essaouira la location adatta piuttosto che una Cipro in cartapesta. Il film riprende con un nuovo cast; Iago- Mac Liammòir vive a Frascati nella villa di Welles mentre entra in scena Betsy Blair come Desdemona. Quando il deal con la Scalera si arena Welles si trova in Marocco senza soldi, in attesa di costosi costumi da Roma, che non arrivano; si inventa allora la soluzione di girare la scena dell’assassinio di Roderigo in un bagno turco.

 

Nell’agosto 1949 si torna a Venezia con i soldi scongelati della sua interpretazione di Rosa nera della Fox, con la Scalera alla Giudecca, e con una nuova Desdemona (Souzanne Cloutier). Con l’aiuto di un produttore-distributore francesce le riprese riprendono in gennaio 1950, in Marocco, a Castel Sant’Angelo e a Venezia. Montare un film girato in tempi diversi, con pellicole e condizione di luce e in location differenti, da operatori differenti e con diversi interpreti, è naturalmente un incubo. Ma sotto traccia il film ha mantenuto un suo progetto estetico coerente, che con pazienza, modellini e piccoli trucchi fotografici si trasforma in un visionario Othello, venato di follia.