Il film disegnato di Salvador Simó è di fatto un tassello che mancava nella storia cinematografica di Luis Buñuel. Ricostruisce gli elementi biografici e il contesto sociale, politico e culturale che hanno portato il regista aragonese a realizzare il documentario Terra senza pane, terzo titolo della sua filmografia. Documentario animato a tutti gli effetti, in quanto testimonia visivamente una realtà in assenza di riprese dal vero, Buñuel nel labirinto delle tartarughe supplisce egregiamente a un «making of» di Terra senza pane. Il film sul territorio povero de Las Hurdes in Spagna, «il luogo più triste e dimenticato del mondo» seguì le pellicole scandalosamente surrealiste Un chien andalou, assistito creativamente da Dalì, e il suo primo lungometraggio L’âge d’or.

IL NUOVO progetto del giovane e squattrinato Buñuel si smarca nettamente invece dalle sue opere precedenti e scaturisce dalle riflessioni dell’irrequieto cineasta desideroso di misurarsi con la realtà concreta. Decide così di perdersi nel «labirinto delle tartarughe», e immagina il territorio depresso de Las Hurdes abitato da circa 8.000 persone «di quelli che non mangiano sempre per la loro fame» sparpagliate fra 52 paesi.
Vincitore l’anno scorso del premio Efa (European Film Awards) per l’animazione e premio della giuria, nonché per la miglior colonna sonora originale (di Arturo Cardelús), all’ultimo festival di Annecy, l’opera su un Buñuel documentarista sensibile alla miseria umana con cui entra in contatto è tratta dall’omonimo fumetto di Fermín Solís. L’animazione è funzionale alla storia, ma senza voli stilistici, nemmeno quando sogni e visioni li suggerirebbero. I disegni animati incastonano però con godibile efficacia gli inserti analogici delle sequenze di Buñuel, ricostruendo i momenti prima e dopo scene quali la decapitazione di un pollo vivo o la rovinosa caduta di una capra da una roccia scoscesa, nonché le varie sfaccettature del cineasta al lavoro.

Le dispute fra artisti e intellettuali si animano nei bistrot parigini alla fine degli anni 1920. Così Luis e Salvador si accalorano, confrontandosi e scontrandosi sullo scopo dell’arte, il suo rapporto con la politica, su realtà e surrealismo «che penetra senza farsene accorgere».

IL FUTURO regista de Il fascino discreto della borghesia non se la passa bene, a differenza del pittore catalano, e si fa terra bruciata intorno. Con L’âge d’or, finanziato dalla ricca madre, sconvolge il pubblico borghese e clericale mentre entusiasma i giovani cinefili. Da Parigi al Vaticano, l’opera eretica del cineasta sovversivo di formazione gesuita lascia il segno, ma non senza contraccolpi. Buñuel sente però anche l’impegno sociale e, sostenuto dal generoso ma umile amico anarchico Ramón Acín (fucilato poi dai franchisti nel ’36), si lancia nell’impresa di girare il documentario la cui uscita fu infine autorizzata alla fine del ’36 dal governo repubblicano, ma senza il nome di Acín nei titoli di coda in quanto noto anarchico. Nel 1960 Buñuel rimise in distribuzione il film con il nome di Ramón e devolvendo l’incasso alle sue figlie.