Si acuisce sempre più la tensione nei rapporti tra Russia e Ue, già compromessi a causa delle proteste e pressioni internazionali a seguito dell’arresto e della condanna di Aleksej Navalnyj. Durante un’intervista con il giornalista Vladimir Solovyov, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha affermato ieri che Mosca sarebbe pronta a interrompere i rapporti con Bruxelles nel caso di nuove sanzioni.

«Partiamo dal presupposto che siamo pronti, e se vedremo ancora sanzioni in aree che creano rischi per la nostra economia lo faremo: la Russia non vuole rimanere isolata dal consesso globale ma deve essere pronta a questo», e concludendo ha ripreso la locuzione latina «se vuoi la pace prepara la guerra», alludendo alla «guerra di sanzioni» avviate nell’era Trump e soprattutto al fatto che quella delle sanzioni è un’ipotesi concreta sul tavolo dei ministri degli Esteri europei che si riuniranno il 22 febbraio.

Dichiarazioni che la Germania ha bollato come «veramente sconcertanti e incomprensibili». Al duro intervento di Lavrov è seguito un chiarimento del portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, che in un tentativo di mediazione ha accusato gli organi di stampa di aver riportato «erroneamente e con titoli sensazionalistici» le dichiarazioni del ministro.

Ribadendo l’interesse di Mosca a migliorare i rapporti con l’Ue, il portavoce della presidenza russa ha sottolineato la necessità per la Russia di «essere pronta in anticipo contro azioni ostili, a nuove restrizioni e a sostituire con infrastrutture nazionali tutto ciò di cui possiamo essere privati».

UN MESSAGGIO chiaro quello delle autorità russe, anche se Peskov ha ribadito che tale situazione si verrebbe a delineare solo a seguito di azioni europee. Nessun commento dalla Commissione Ue, anche se il portavoce Eric Mamer ha sottolineato che «non abbiamo mai detto in alcun modo che ci stavamo preparando a tagliare i rapporti con la Russia» che al momento hanno toccato effettivamente un «punto basso».

Allo stato attuale l’imposizione di nuove sanzioni europee non è comunque da escludere, alla luce della vicenda Navalnyj che è stata condannata quasi all’unanimità dai 27 Stati membri. Nel frattempo, la difesa dell’oppositore ha presentato ieri ricorso contro la commutazione in detenzione della condanna sospesa nel caso Yves Rocher del 2014, solo due giorni dopo la partenza della moglie Julia alla volta di Francoforte.

Un viaggio che secondo lo staff di Navalnyj dovrebbe essere breve, ma che potrebbe invece essere un tentativo di evitare un eventuale arresto. E ieri l’oppositore è comparso nuovamente in tribunale nel quadro del procedimento penale per presunta diffamazione ai danni di un veterano della Seconda guerra mondiale, durante la campagna per la riforma costituzionale dello scorso anno.

SONO PROPRIO gli sviluppi del caso Navalnyj e il crescente numero di arresti ai danni dei suoi sostenitori a rendere plausibile l’ipotesi di nuove sanzioni contro la Russia, che troverebbe ampio consenso nei paesi Ue. Una possibile eccezione riguarda la Germania, con il ministro degli Esteri Heiko Maas che, pur minacciando anche lui nuove sanzioni, ha ribadito il suo rifiuto a bloccare la costruzione del gasdotto Nord Stream 2, affermando che le misure devono «colpire gli obiettivi giusti, ossia i responsabili dell’azione repressiva».

In particolare, il capo della diplomazia di Berlino ha ribadito l’importanza dell’infrastruttura per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici all’interno dell’Ue, ricordando che lo stop al progetto potrebbe portare al «completo isolamento economico» della Russia avvicinandola di conseguenza alla Cina.

LA QUESTIONE dei gasdotti e degli approvvigionamenti energetici rappresenta un punto di rottura all’interno dello spazio comunitario: non solo per le posizioni differenti assunte da Germania, Francia e paesi est-europei sul Nord Stream 2, ma soprattutto dopo la pubblicazione di una lettera riservata – v. l’articolo di Sebastiano Canetta su il manifesto di ieri -, firmata dal vice cancelliere tedesco Olaf Scholz e inviata lo scorso agosto all’allora segretario al Tesoro Steven Mnuchin.

Nella missiva viene ribadita la disponibilità del governo tedesco ad «aumentare il suo investimento nelle infrastrutture di gas naturale liquefatto fino a un miliardo»: un tentativo di «ammorbidire» gli Stati Uniti, grandi produttori di Gnl – tra l’altro assai inquinante – e porre di conseguenza fine alla guerra del gas sul Mar Baltico e alle pressioni di Washington per la sospensione del Nord Stream 2.

SICURAMENTE una fonte di imbarazzo per il governo tedesco nei confronti della Russia e degli altri Paesi europei, che va ad acuire ulteriormente le divisioni emerse all’interno dell’Europarlamento dopo la richiesta di dimissioni ai danni dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell.

In una lettera cofirmata da altri 81 eurodeputati Riho Terras, esponente del Ppe, ha chiesto le dimissioni di Borrell all’indomani del suo recente viaggio a Mosca con all’ordine del giorno il caso Navalny, perché avrebbe «provocato gravi danni alla reputazione dell’Ue e alla dignità del suo ufficio».