La coabitazione durerà. Se lo diranno definitivamente, forse già oggi, Enrico Letta e Matteo Renzi, alla consultazione sul «contratto per il governo» che potrebbe svolgersi in mattinata. Sul tavolo il testo del governo, sul quale il presidente del consiglio ha già iniziato le consultazioni con le forze della maggioranza. Ma soprattutto il job act, che ieri il segretario del Pd ha lanciato alle nove di sera sul suo sito. «Uno strumento per aiutare il Paese a ripartire», dice la premessa. Insieme a – e questa è materia del confronto di oggi – legge elettorale, taglio dei costi della politica, eliminazione delle rappresentanze politiche di Province e Senato, riduzione del numero e del compenso dei consiglieri regionali. Il primo titolo, «sistema», è dedicato alla riduzione «del 10% il costo per le aziende, soprattutto per le piccole imprese che sono quelle che soffrono di più», e agli interventi sulle tasse («Chi produce lavoro paga di meno, chi si muove in ambito finanziario paga di più, consentendo una riduzione del 10% dell’Irap per le aziende». Il secondo capitolo rimanda ad un ulteriore documento, che tratterà la non banale questione di come si creano posti di lavoro. Ma il core business del testo riguarda le regole. Semplificazione delle norme, riduzione delle varie forme contrattuali, verso «un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti», «assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro», agenzia unica per l’impiego, e «legge sulla rappresentatività sindacale e presenza dei rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori nei cda delle grandi aziende».

Il testo è stato mandato in rete e già oggi sarà depositato nella casella postale di «parlamentari,circoli, addetti ai lavori per chiedere osservazioni, critiche, integrazioni. Poi sarà presentarlo ufficialmente al partito alla direzione del 16 gennaio.

È la dimostrazione dell’irritualità con cui, da ora in avanti, Renzi disegnerà la nuova linea del Pd. Lo aveva già fatto il 2 gennaio, proprio con la e-lettera sulla legge elettorale: il leader si è rivolto ai suoi follower, prima che al suo partito. O almeno a tutti in contemporanea.

Ma nella lettera Renzi – che prevede «resistenze» – non rinuncia ad attaccare il governo: «Ora, a me va bene tutto. Ma le figuracce gratis anche no. Stamattina il Governo ci ha messo una pezza. Era già accaduto con le slot machines, con gli affitti d’oro, con le polemiche dell’Anci: dobbiamo trovare un modo diverso di lavorare insieme. Non sono affezionato alle liturgie della prima repubblica con gli incontri di delegazioni: mi è sufficiente che si prenda un impegno chiaro con i cittadini e si rispetti». Il governo andrà avanti fino al 2015, Renzi lo ha assicurato ormai. Ma questa sarà la cifra della coabitazione.

Entro questa settimana farà il primo giro di consultazioni fra Letta e le forze della maggioranza. Intanto la legge elettorale dovrà essere incardinata alla camera e – secondo i desiderata di Renzi – ingranerà la marcia veloce. Prima, entro fine mese, Palazzo Chigi riunirà il tavolo della maggioranza sul nuovo «contratto di governo», e anche lì non si tratterà di un pranzo di gala. Ciascuno tirerà la coperta dalla sua parte. Ma senza la minaccia del ritorno al voto entro maggio, la discussione sarà meno isterica. Per il segretario resta aperto il tema di come trasformarsi, di fatto, nel principale sostenitore del governo e restando, insieme, il suo principale oppositore. Un saggio di come potrebbe andare è stata la ’vittoria’ sull’ultima papera del ministro Saccomanni, l’annuncio della richiesta degli scatti di anzianità agli insegnanti, poi ritirata e giustificata come «un difetto di comunicazione». Ma quante volte potrà ripetersi lo schema? E il governo potrà per un anno e passa permettersi di essere ridicolizzato dal principale azionista della maggioranza?