Un piano da 1,5 miliardi di euro per combattere la disoccupazione giovanile, con l’impegno e la promessa di Enrico Letta di riuscire a far assumere «200 mila giovani italiani in 18 mesi». Il rinvio di tre mesi dell’aumento dell’Iva, per il costo di 1 miliardo di euro: come da richiesta pressante del Pdl (soprattutto dopo la condanna di Berlusconi). È la sostanza del «pacchetto lavoro» varato ieri dal governo, con il premier Letta pronto a portarlo al Consiglio europeo che si apre oggi a Bruxelles.
Prima di esporre nel dettaglio le misure, va detto che per il momento non sono state indicate le coperture per il provvedimento: per il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni la spiegazione «è questione di ore», e successivamente la conferma di questa «incertezza» è arrivata dal sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Filippo Patroni Griffi: «I dettagli tecnici li stiamo definendo – ha detto ai giornalisti – Le coperture precise saranno indicate nel decreto che, spero, potrete vedere domani» (oggi per chi legge, ndr). «Il rinvio dell’aumento dell’Iva – ha poi aggiunto – non prevede incrementi fiscali. C’è solo un intervento sulle sigarette elettroniche».

Parole, queste, a fugare probabilmente le voci che si rincorrevano da giorni, e che avevano spinto soprattutto il Pdl a protestare: il rinvio di una tassa, l’Iva, si sarebbe ottenuto grazie all’inasprimento sul fronte di un’altra tassa, l’Irpef, aumentando l’acconto richiesto a dicembre. Il che non avrebbe significato comunque incrementare l’Irpef (sarebbe solo cresciuta la cifra richiesta come anticipo rispetto al 2014), ma certo si sarebbe trattato di un aggravio più ravvicinato per i contribuenti. E quindi, in ogni caso, noie. Tra l’altro l’esecutivo ha annunciato che se per ora l’aumento è rinviato al primo ottobre, nei prossimi mesi si potrà intervenire per farlo slittare ulteriormente, o addirittura annullarlo.

[do action=”citazione”]Curioso uno dei tre criteri per accedere agli incentivi: il candidato non deve avere un diploma superiore. Una beffa per molti precari pieni di titoli e cervelli in fuga[/do]

Lasciando l’Iva, e passando ad analizzare il «pacchetto lavoro», va detto che le misure varate sono un po’ «poverelle», e soprattutto vanno a concentrarsi solo sui giovani (gli under 29, appunto), quando invece tutto il Paese, e a tutte le fasce di età, ha un’enorme fame di lavoro. Ci sono solo 2 milioni di euro destinati da oggi al 2015 alla formazione e ai tirocini degli over 50, ma certo con la bufera che abbiamo attraversato e ancora attraversiamo, è come dire quasi nulla.
E per i giovani? Almeno per loro siamo davanti a misure efficaci? Mica tanto. Innanzitutto gli incentivi previsti durano solo 18 mesi per i neoassunti e 12 mesi per i contratti a termine trasformati in tempo indeterminato; hanno un tetto massimo mensile di 650 euro a lavoratore e riguardano, come detto, unicamente i giovani dai 18 ai 29 anni, prevalentemente del Sud. Inoltre, i candidati al sostegno devono soddisfare almeno uno dei tre seguenti requisiti: devono essere disoccupati da almeno sei mesi, avere a proprio carico almeno una o più persone, e non devono essere in possesso di un diploma superiore o professionale (insomma, devono essersi fermati al solo titolo della media inferiore). Un modo per includere, probabilmente, i cosiddetti neet (quei giovani che non lavorano nè studiano).

Parametri molto criticati ieri, in particolare da chi vede nel punto dedicato agli studi medi, una ulteriore penalizzazione di precari e disoccupati che hanno alle spalle liceo, università, master e stage. C’è da segnalare poi la curiosa gaffe di Beppe Grillo: in un post un po’ frettoloso, ha spiegato ai fan del suo blog che i candidati devono soddisfare tutti e tre i requisiti contemporaneamente; attirandosi più di un rimprovero dagli stessi «grillini».
«Un altro punto debole di questi incentivi – commentava ieri l’economista Tito Boeri – è che sono temporanei. Quando si hanno poche risorse da distribuire è meglio che vengano concentrate in pochi provvedimenti di lunga durata, come poteva essere un sussidio permanente per le retribuzioni più basse. Altrimenti c’è il rischio che gli incentivi, distribuiti su troppi interventi e per periodi limitati, si esauriscano senza avere inciso sull’economia reale. Insomma, che siano soldi buttati via».

Quanto alle coperture, ha spiegato il premier, verranno dalla riprogrammazione dei fondi Ue e nazionali. Letta ha ribadito, per l’ennesima volta, che non verrà intaccato in nessun modo il deficit al 3%, rimandando eventuali nuovi investimenti ai prossimi mesi, quando – rimossa definitivamente (la decisione al vertice Ue di oggi) la procedura di infrazione – l’Italia avrà più fiato, soprattutto sui conti del 2014. Allo stesso modo, possibili riduzioni strutturali del costo del lavoro (i sindacati e la Confindustria più volte hanno chiesto il taglio del cuneo fiscale), secondo il ministro del Lavoro Enrico Giovannini «potranno venire in futuro, con la legge di stabilità».