Contro la regolamentazione del lavoro festivo sta nascendo una nuova alleanza sociale. Se i sindacati da anni chiedono di rivedere la liberalizzazione selvaggia delle aperture voluta da Monti, a fianco della Grande distribuzione organizzata (Gdo) si schierano invece gran parte delle associazioni dei consumatori.
Giovedì è arrivata la proposta di legge firmata sia da parlamentari M5s che della Lega – segno di una convergenza non scontata – che, a prima firma della leghista Barbara Saltamartini, disciplina gli orari degli esercizi e limita le aperture nei giorni festivi alle sole domeniche del mese di dicembre oltre ad altre quattro domeniche o festività durante l’anno.
Il disegno di legge, composto di due soli articoli, di fatto abroga i due articoli che hanno liberalizzato le aperture dei negozi e in particolare l’articolo 31 del cosiddetto «Salva Italia» varato dal governo Monti. Una proposta molto restrittiva rispetto a quanto affermato dal ministro Luigi Di Maio il 17 luglio – «il nostro progetto di modifica individua nell’arco dell’anno 12 giorni festivi, di cui 6 nei quali si lavora solo al 25% su uno specifico territorio» – vissute come una doccia gelata per chi già aveva festeggiato la regolamentazione annunciata nei giorni precedenti dal sottosegratario al Lavoro Claudio Cominardi, sempre M5s.
Secondo Claudio Gradara, presidente di Federdistribuzioni, l’associazione d’impresa della Gdo, la proposta del governo di tenere negozi chiusi la domenica è da bocciare in toto: «Il dato è che siamo ancora sotto i consumi che avevamo nel 2010 e stimiamo che, ripristinando le chiusure festive e domenicali, ci potrà essere un calo dell’1 per cento nel settore alimentare e del 2 per cento in quello non alimentare. Con un indubbio vantaggio a favore dell’e-commerce».
Stime quasi apocalittiche erano state stilate da Confimprese: senza Decreto Monti contrazione del fatturato, del 10% e 400mila posti di lavoro a rischio.
A sorpresa sono arrivate anche le critiche dell’Unione nazionale consumatori: «Il Governo ci riporta all’età della pietra – ha attaccato il presidente Massimiliano Dona – . È incredibile che con tutti i problemi irrisolti di questo Paese si tolga l’unica liberalizzazione fatta dopo le lenzuolate Bersani. Invece di preoccuparsi di far riaprire i negozi, si preoccupano di chiuderli, tornando al passato e al vecchio. I consumatori vogliono trovare negozi aperti. Commercianti hanno la concorrenza dell’e-commerce», conclude Dona.
La risposta dei sindacati è dura. «Questa santa alleanza tra grande distribuzione e consumatori si fonda su un assunto totalmente errato: l’idea che la vendita di vestiti e mutande in un otulet o i prodotti che trovi in un iper siano un servizio essenziale – attacca Francesco Iacovone, dell’esecutivo nazionale Cobas -. Il decreto Monti in più non ha aumentato le vendite. Doveva produrre nuovi posti di lavoro e invece ha semplicemente aumentato i turni per chi già lavorava peggiorando le condizioni di lavoro. L’ultima balla riguarda la concorrenza dell’e-commerce: le grandi catene avevano già perso clienti prima perché Amazon ha costi inferiori, non perché i fattorini o i riders lavorano la domenica», conclude Iacovone.
Critica anche la segretaria generale della Filcams Cgil Maria Grazia Gabrielli: «Intervenire sul decreto Salva Italia è una priorità. Abbiamo più volte avanzato proposte, richiesto un incontro col ministro Di Maio e promosso mobilitazioni e campagne di comunicazione. È indispensabile porre limite alle aperture incontrollate. Le condizioni di lavoro nel settore sono peggiorate con turni strutturalmente su 365 giorni l’anno e con la sperimentazione dell’orario H24. Alle difficoltà nella conciliazione dei tempi vita si aggiunge un’indisponibilità sempre più diffusa dalle imprese al riconoscimento economico per i turni domenicali», conclude Gabrielli.