U ponta ‘e Catanzaru come è chiamato da queste parti il viadotto stradale e pedonale, composto da un’unica carreggiata e da 3 corsie, costruito su una sola arcata in calcestruzzo armato, che collega il centro di Catanzaro con la Strada dei due mari e con i quartieri Mater Domini e Gagliano, è stato rifatto e manutenuto con materiale di scarto. Sarà una perizia disposta dalla Dda di Catanzaro, che ne ha ordinato il sequestro con facoltà d’uso insieme alla Galleria Sansinato della Due mari, a chiarire se c’era un rischio crollo.

E se in questi anni si sia rischiata un’altra Genova, un altro crollo di un’opera progettata da Riccardo Morandi. All’epoca si trattava del secondo ponte in calcestruzzo più lungo d’Europa. È il viadotto Fausto Bisantis, dal nome di un vecchio sindaco democristiano del capoluogo, i cui lavori di manutenzione erano stati affidati alle società dei fratelli Eugenio e Sebastiano Sgromo di Curinga. I due costruttori sono stati arrestati ieri all’alba nell’ambito dell’operazione Brooklin con un pesante fardello accusatorio: intestazione fittizia e associazione a delinquere aggravati, rispettivamente, dalla modalità e finalità mafiosa, nonché corruzione, auto-riciclaggio, frode in pubbliche forniture, truffa. Sono i reati contestati dai pm di Catanzaro, guidati dal procuratore Nicola Gratteri.

L’attività investigativa ha delineato un grave quadro indiziario a carico degli imprenditori i quali a causa di problemi finanziari, con la complicità del direttore dei lavori e di un ingegnere Anas, impiegavano consapevolmente nelle lavorazioni un tipo di malta di qualità scadente, più economico di quello inizialmente utilizzato. Sono loro stessi a lamentarsi della qualità del materiale utilizzato. È il direttore tecnico, nel corso di una conversazione, a rispondere in maniera perentoria sulla qualità dei prodotti impiegati: «Fanno cagare». In un altro colloquio lo stesso direttore parlando con un rappresentante di una ditta fornitrice rivela: «… a me serve nu carico 488 urgente altrimenti devo vedere… devo mettere quella porcheria di… qui sui muri eh». E, ancora, un capo cantiere parla al telefono e dice: «… ma ha visto qui dove amo spicconare, hai visto? Secondo lui dice non va bene perché noi al Morandi con questo materiale l’abbiamo fatto e casca tutto».

Insomma, un sodalizio criminale disposto a tutto pur di aggiudicarsi la succulenta commessa da 25 miliardi per poi risparmiare sull’esecuzione. Fra gli indagati attinti dalla misura cautelare in carcere figura anche un ispettore della Finanza. È quel Michele Marinaro, nome noto alle torbide cronache giudiziarie di Calabria, già coinvolto nella maxi inchiesta antindrangheta Rinascita Scott. A

ll’epoca dei fatti, tra il 2016 e il 2017, era un ufficiale di polizia giudiziaria in servizio presso la Dia e successivamente trasferito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Il suo arresto è stato determinato dall’ipotesi di reato di corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreti d’ufficio, «per avere il pubblico ufficiale commesso atti contrari ai propri doveri d’ufficio in cambio di utilità ricevute dallo Sgromo». Secondo il generale Dario Solombrino, comandante provinciale della Gdf, «tutti i soggetti coinvolti erano consapevoli di utilizzare del prodotto non adeguato. La scelta è stata fatta per motivi di natura finanziaria e anche per comprimere i tempi di realizzazione dell’opera». Questo ha condotto a una frode nelle pubbliche forniture «perché è stata consegnata un’opera non adeguata a quella commissionata»