«Basta de exploração e empobrecimento» recita il manifesto dello sciopero generale che ieri ha paralizzato l’intero Portogallo: basta allo sfruttamento e all’impoverimento.
Ormai siamo al quarto sciopero generale nel breve volgere di appena un paio di anni, e questo è già un buon indicatore di quello che sta succedendo in questo paese devastato dalle politiche di austerità, ma non basta perché la sensazione è che ci sia qualche cosa di più profondo, di più duraturo e irreversibile che non un, se pur duro, semplice attacco ai diritti dei lavoratori. No, c’è qualche cosa di diverso che trasforma poco a poco tutta la lotta dei portoghesi di questi anni in una vera e propria guerra di resistenza e gli scioperanti nei partigiani del terzo millennio.
Dalle belle città date al nemico è forse la canzone che meglio traduce in strofe il senso di una lotta che silenziosamente, ma pervicacemente, si sta combattendo. No, il raffronto con la guerra di resistenza non è del tutto inappropriato perché gli scioperanti oggi, come i partigiani allora, hanno lasciato «case scuole e officine», si sono riversati «sulle strade dal nemico assediate» per cercare di liberarsi dalla «schiavitù del suol tradito» e difendere non solo i diritti, ma per ridare dignità all’«amor per la patria» loro.
La finanza ha sostituito l’esercito, oggi a presidiare non ci sono soldati e cannoni, ma c’è, ad esempio, l’obbligo previsto dal Memorandum imposto dalla Troika di vendere tutti gli asset strategici: gas, telecomunicazioni, rete elettrica, elettricità e aeroporti. In cambio dei 26 miliardi di «aiuti» europei.
La devastazione portata avanti con «armi finanziarie» che quelle «belle città» non distrugge, ma distrugge i suoi cittadini, non si limita a pretendere la proprietà delle principali infrastrutture. No, non basta, come qualsiasi occupante anche questo vuole il suo obolo. A leggere i dati c’è da rimanere attoniti, la spesa sugli interessi del debito pubblico è cresciuta dal 2010 al 2012 da poco meno di 5 miliardi a un po’ più di 7. Nel suo totale la spesa pubblica è diminuita da circa 89 miliardi a 78. Mediamente il Portogallo paga sui suoi 200 miliardi di debito un tasso di interesse del 4%, otto volte in più di quello che pagano le banche private per approvvigionarsi di soldi dalla Bce. Se lo stesso tasso praticato per le banche fosse adottato per lo stato portoghese si potrebbero risparmiare ogni anno 6 miliardi di euro rendendo di fatto inutile l’attuale piano di tagli di 4,8 miliardi.
Ma non basta, c’è un terzo piano su cui questo impalpabile invasore sta facendo gravi danni alla patria, ed è quella del dumping. Quella stessa Unione europea che da un lato si mostra tanto severa nel fare rispettare i limiti di deficit permette dall’altro lato che nel suo seno ci siano regioni che competano con altre regioni sul piano degli sconti fiscali. Così, come rivela un rapporto dell’Onu, quasi tutte le imprese quotate allo Psi-20 ha una sua holding in Olanda che le permette consistenti risparmi.
Dato il pesantissimo quadro della situazione si capisce meglio come il motto che la Cgtp (la Confederazione generale dei lavoratori portoghesi) ha voluto darsi per la giornata di lotta – «Basta de exploração e empobrecimento» – assuma un carattere totalizzante che coinvolge nelle sue radici l’essenza stessa di un intero paese. Oggi si lotta sia per il mantenimento di un minimo di diritti ma anche, più genericamente, per un primario diritto all’esistenza.