A metà novembre, durante un summit virtuale ad Hanoi, è nato il Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep). Un accordo commerciale che include le 10 nazioni del Sudest asiatico (Asean) e i maggiori Paesi di Asia e Oceania: Giappone, Cina, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. In calce all’accordo, che rappresenta circa un terzo del Pil e della popolazione mondiale, ci sono anche due grandi assenti: Stati Uniti e India. I primi si erano già ritirati dalla Trans-Pacific Partnership (Tpp ora Cptpp), cui guarda adesso anche la Cina. L’India si è invece autoesclusa ritirandosi l’anno scorso. Ma le promesse del Rcep rischiano di essere volano di sviluppo solo per qualcuno.

Se secondo l’economista coreano Lee Jong-Wha, Rcep «manca di regole per proteggere l’ambiente e i lavoratori e le riduzioni tariffarie che richiede non sono così ampie come quelle del Cptpp», le maggiori preoccupazioni vengono dalle organizzazioni della società civile per gli effetti dell’accordo su quei segmenti di popolazione più fragili, come i contadini o gli artigiani.

Secondo il Comitato di Amicizia Italo Filippino (Caip), un’associazione di filippini e italiani nel nostro Paese, Rcep rischia di essere una «falsa promessa»: una volta applicato permetterà infatti «l’ingresso di investimenti stranieri e l’accaparramento di terre, già concentrate nelle mani di latifondisti e imprese transnazionali». Per i contadini filippini – dicono – «si tradurrà in un aumento della povertà e della fame» e nell’intensificarsi della militarizzazione delle comunità indigene che «per decenni hanno lottato per conservare le loro terre ancestrali».

Spiegano che già ora «500mila ettari nell’isola di Mindanao sono coperti da colture prevalentemente destinate al mercato mondiale» e che «con una popolazione in rapida crescita e la drastica diminuzione della terra destinata alla produzione di riso, a causa della conversione alla monocultura, saranno colpite sicurezza e sovranità alimentari. L’aumento della importazione di beni di consumo più economici e la diminuzione delle esportazioni potrebbe aggravare il deficit commerciale, indebolire il bilancio statale», aggravando lo stato di povertà.

«La crisi del Covid dovrebbe essere un’occasione per rendersi conto di quanto siano importanti agricoltori, pescatori e altri produttori di beni alimentari» – è il commento dell’Ong indonesiana Solidaritas Perempuan a proposito del Rcep, mentre Focus on Global South sottolinea i pericoli per lavoratori informali e piccole imprese agricole o artigianali a vantaggio dei mediatori che lucrano su margini minimi di guadagno.

Ridurre drasticamente le tariffe dei prodotti agricoli potrebbe avere conseguenze tragiche per loro e per le donne che lavorano per la sussistenza famigliare con un’agricoltura su piccola scala. Una situazione aggravata dalla pandemia, come spiegano gli attivisti dell’Asia Pacific Forum on Women, Law and Development, con sede a Kuala Lumpur (Malaysia): «La pandemia ha preso vite, distrutto economie, spazzato via milioni di posti di lavoro e mezzi di sussistenza in un modo mai visto prima. In questo momento, qualsiasi decisione economica, fiscale e politica deve riflettere i bisogni e le priorità dei popoli».

A Manila, l’Ong Trade Justice Pilipinas ricorda che, durante il negoziato, la società civile ha continuamente ricordato le possibili implicazioni negative del Rcep; preoccupazioni condivise anche dai sindacati di Indonesia, Corea del Sud, Australia, Malaysia e Cambogia che, attraverso la piattaforma Public Service International, hanno espresso le loro perplessità sugli effetti dell’accordo sui posti di lavoro.

Altro punto pericoloso – dicono ancora al Caip – è il Meccanismo di Risoluzione delle Dispute Stato-Investitore (Isds) «grazie al quale le grandi imprese transnazionali hanno il diritto di fare causa contro gli Stati per modificarne normative e politiche pubbliche». E ancora: «Il Diritto alla Proprietà Intelletuale (Ipp), che potrebbe negare l’accesso ai prezzi accessibili di farmaci salva-vita e contrasterebbe con i diritti dei contadini di preservare e produrre in modo autonomo le proprie sementi».