“Lavorare per vivere e non per morire”. Di tutti gli striscioni che tappezzano piazza delle Carceri, il più incisivo raccoglie in poche parole il senso più profondo della manifestazione organizzata dai sindacati confederali, nel giorno dello sciopero provinciale indetto dopo l’omicidio bianco dell’apprendista operaia Luana D’Orazio. Sotto la chiesa di Santa Maria, lungo le mura del Castello dell’Imperatore, campeggia un altro striscione sindacale: “Intollerabile”. Intollerabile che in Italia si vada avanti alla media di due morti al giorno – anche ieri un operaio di 37 anni ha perso la vita nel parmense – senza che nulla cambi o quasi. Se ne rende conto Andrea Orlando, che arriva a Prato e passa anche da casa D’Orazio per una visita alla famiglia di Luana. “Non basta il cordoglio – commenta il ministro del lavoro dopo un summit in Prefettura – non basta la vicinanza, non basta neanche l’indignazione. Occorre fare”. Anche perché i numeri sono impietosi: nei primi tre mesi dell’anno, l’Inail ha registrato, nella sola Toscana, 953 infortuni nel settore manifatturiero.
L’arrivo di Orlando conferma una volta di più che la terribile morte della ragazza madre di 22 anni, letteralmente inghiottita da un orditoio, continua a scuotere le coscienze. Finalmente, pensa Alya Jaballah, la mamma di Sabri, l’operaio di 23 anni che il 2 febbraio scorso rimase straziato da una macchina “apriballe” mentre faceva una manutenzione. Dal palco degli interventi Alya guarda la manifestazione e torna ai quei giorni devastanti, privi di quella solidarietà generalizzata che dovrebbe accompagnare ogni tragedia del lavoro: “Ho pianto anche per Luana come se fosse morto un altro mio figlio – racconta stringendo la foto di Sabri incorniciata tra le braccia- quando torniamo a casa e non lo troviamo, io e i miei altri due figli non riusciamo a smettere di pensarci. Cerchiamo di andare avanti ma è troppo difficile. Fino a quando dovremo sopportare queste tragedie? Non è giusto, non siamo in guerra. A noi questo dolore resterà per tutta la vita”.
Il sindaco Matteo Biffoni avverte: “Bisogna che a Roma si rendano conto che non ce la facciamo con le forze che ci sono”. Le leggi esistono, al riguardo il segretario della Cgil pratese, Lorenzo Pancini, è chiaro: “Invece della solidarietà, gli imprenditori applichino il Testo unico sulla sicurezza. Sarebbe un grande gesto”. Ma avere solo due ispettori sul lavoro in città è una follia. “Abbiamo bisogno di rinforzi a 360 gradi – va avanti Biffoni – Inail e sistema ispettivo, e poi in procura, questura e prefettura. Insieme alla Regione abbiamo fatto oltre 15mila controlli dal settembre 2014 ad oggi. Ma non basta, perché i numeri sono fuori scala: ci sono più di 30mila addetti in questo che è il distretto tessile più grande d’Europa, con un sistema produttivo di migliaia di piccole aziende dove i titolari lavorano fianco a fianco con i dipendenti. E continua ad esportare oltre il 3% del prodotto italiano sul tessile, facendo due miliardi di valore aggiunto”.
Il ministro Orlando prende nota e cerca di tirare le somme: “Si può agire su più livelli. Il primo è il rafforzamento del coordinamento tra i diversi soggetti che operano, il secondo è lavorare su formazione e prevenzione. Il terzo, non marginale, è quello degli organici, lo Stato non può risparmiare sulla sicurezza. Infine occorre lavorare sull’aspetto ‘reputazionale’: i grandi marchi che acquistano devono essere valutati anche su come producono”. Perché tutti sanno che la concorrenza, sfrenata, fra i terzisti, porta anche a tagliare sui dispositivi di protezione.
In piazza ci sono infine gli operai “ribelli” della Texprint, una cinquantina di tute blu del Pakistan e del Bangladesh, che da mesi lottano insieme al Si Cobas per condizioni di lavoro e di vita decenti, nel rispetto del contratto di lavoro. E’ anche a loro che Stefania Valente, operaia e madre, delegata sindacale Cgil, sembra rivolgersi, quando fra le lacrime fa un appello a tutti i lavoratori e lavoratrici, nessuno escluso: “Non giratevi dall’altra parte”.