«L’avanguardia è nei sentimenti»: è una frase di Massimo Urbani, un’affermazione che – quasi un verso – si presta a tante interpretazioni, pur indicando un pensiero «forte» che la musica del sassofonista, scomparso nel 1993, incarnava.

Carola De Scipio (regista indipendente ed appassionata di jazz) scelse quella frase nel 1999 a completamento del titolo del volume Vita, arte e musica di Massimo Urbani, testo che inaugurava la collana Jazz People (diretta da Gianfranco Salvatore) per Stampa Alternativa / Nuovi equilibri. A distanza di quindici anni L’avanguardia è nei sentimenti (pp.334, euro 22) torna in libreria arricchito da svariate e nuove interviste, dalle fotografie inedite di Roberto Masotti e dalla discografia di Roberto Arcuri.

Lo pubblica Arcana in una collana curata da Vincenzo Martorella. Il libro è lievitato di circa duecento pagine grazie anche ad «inedite e preziose testimonianze di musicisti legati al sassofonista romano» (scrive Alfredo Ponissi nella prefazione, jazzista che introdusse la De Scipio alla musica di Urbani, ispirò la prima edizione e la sostanziò insieme a Mauro Verrone, Paolo Tombolesi e Luigi Bonafede).

Resta l’impianto generale di un «racconto orchestrato e corale dei musicisti» da cui «emerge una storia eroica, dal finale ineluttabilmente drammatico» (Prefazione, p.9) per una riedizione «necessaria», dato che – come ben precisa l’autrice – «ci sono oggi nuove schiere di giovani musicisti e appassionati che scoprono il suono del suo sassofono» (Introduzione alla nuova edizione, p.13) ed è importante che la memoria (e la storia) di quegli anni non siano dimenticate.

Così nell’accresciuto testo c’è spazio per alcune parti mancanti nella prima edizione, come gli inizi della carriera dell’altosassofonista e la partecipazione di «Max» ai movimenti musicali ed alle iniziative che fervevano in varie città italiane negli anni ’70. Ciò che resta inalterato, anzi addirittura potenziato, è l’originale carattere documentario-cinematografico de L’avanguardia è nei sentimenti, il suo montaggio che lo rende vivo e vivido, basato sulla parola, sul racconto, sul suono. «Le interviste che ho trascritto sono state tutte emozionanti e capaci di farmi rivivere come in un film la storia di Massimo Urbani. Il film non c’è ancora, ma questo libro è in realtà ben più di una sceneggiatura (…) da cui emerge un affresco collettivo con tanto di colonna sonora» (p.15).

Martorella (nella sua postfazione «Tu parlavi una lingua meravigliosa») traccia un parallelo illuminante fra Massimo Urbani ed il poeta Victor Cavallo, indicando «un’empatia a tratti dolorosa, e una sorprendente vicinanza nel modo bruciante e spiazzante con cui trattavano i materiali delle rispettive arti. Acuti, fantasiosi, debordanti, rapidi, visionari…» (p.286). Una lezione preziosa in epoca di manierismi, conformismi, carrierismi anche nel jazz.
luigi.onori@alice.it