Cuba procede nel dare sostanza allo storico accordo per la ripresa delle relazioni politiche con gli Usa, annunciato il 17 dicembre dai due presidenti, Obama e Raúl Castro. La conferma è giunta ieri da Washington, dove il Dipartimento di Stato ha annunciato la messa in libertà nell’isola di 53 detenuti che gli Usa considerano «prigionieri politici» (mentre per le autorità dell’isola si tratta di «detenuti per reati comuni») e che il governo dell’Avana si «era impegnato a liberare» nell’ambito degli accordi raggiunti.

L’identità dei 53 messi in libertà stati non è stata rivelata dal Dipartimento di Stato, «Il governo cubano ha preso la decisione sovrana di liberare queste persone», ha dichiarato una «fonte» citata dal quotidiano Miami Herald. Giovedì scorso, 36 dei 53 detenuti della lista fornita dagli Usa erano stati scarcerati e posti in libertà condizionata. Almeno 28 di questi sono attivisti di una piccola formazione del dissenso, la Unione nazionale patriottica di Cuba (Unapacu) che, secondo le autorità cubane, scontavano una condanna di vari mesi nelle carceri di Santiago de Cuba, Guantánamo e Granma per «oltraggio all’autorità e incitazione ai disordini».

I nomi dei 36 scarcerati erano stati forniti dalla Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale (Ccdrn) e dalla stessa Unapacu. Il ritardo nella scarcerazione dei restanti 17 aveva suscitato una serie di reazioni polemiche in Florida, di cui si era fatto portavoce il senatore repubblicano Marco Rubio, il quale aveva intimato al presidente Obama di sospendere le trattative fino alla completa liberazione dei «prigionieri politici».

La decisione «sovrana» di Cuba di compiere gli impegni presi costituisce dunque un passo importantissimo per garantire sostanza ai colloqui che avranno luogo all’Avana il 21 e 22 di questo mese tra il governo cubano e una delegazione statunitense guidata dalla sottosegratria di Stato Usa con delega per l’Emisfero occidentale, Roberta Jacobson. La viceministra degli esteri- in attesa che nell’isola giunga in visita ufficiale il capo della diplomazia Usa, John Kerry- sarà l’autorità di più alto grado che compie una missione a Cuba dal 1961, anno in cui Washington ruppe unilateralmente le relazioni con l’Avana.
Grandi sono le aspettative – e le speranze- sull’esito di queste prima trattative dirette e ufficiali tra Usae Cuba.

La settimana scorsa una trentina di organizzazioni agricole alimetarie statunitensi – tra le quali le grandi imprese Cargill e Smitthfield Foods, leader nel campo della produzione di riso, soia, mais, grano e pollami- hanno lanciato un’iniziativa per favorire la fine dell’embargo americano contro Cuba. Si tratta, ha affermato Paul Johnson, presidente della Chicago Foods International Llc e vicepresidente della Coalizione agricola degli usa per Cuba (Usacc) «di un ostacolo al commercio autoimposto». «Occorrerà tempo tempo perché il Congresso possa avere relazioni normali con Cuba- ha aggiunto.

Però è necessario che poniamo fine a questo embargo». Lo stesso segretario all’Agricoltura, Tom Vislak ha ammesso che la normalizzazione del commercio con Cuba costituirebbe «una opportunità commerciale» per gli Usa, visto che si tratta «di un mercato a solo 140 chilometri dalla nostra frontiera». Delle aspettative internazionali si è fatto portavoce ieri, durante una riunione con rappresentanti del corpo diplomatico, papa Francesco, il quale ha sostenuto la necessità di usare il dialogo come metodo per superare le differenze politiche e ha posto come esempio proprio il processo di ripresa dei rapporti tra Cuba e gli Usa.