Passata l’estate a lodare le virtù finanziarie di Sergio Marchionne, rincorso da fantomatici cinesi che volevano allearsi con lui, l’autunno di Fca si annuncia molto meno positivo.

La promessa della «piena occupazione in Italia», seppur ritardata dal 2017 a fine 2018, ad oggi è una chimera.

LA SITUAZIONE PEGGIORE è quella degli stabilimenti torinesi. Da poco è arrivato l’annuncio del prolungamento del contratto di solidarietà alle carrozzerie di Mirafiori, aumentata dal 48 al 60 per cento di riduzione di orario.

Dove c’erano 50mila operai ora ce ne sono solo 3.700 e sono alle prese con gli ammortizzatori sociali da un lustro buono. Con la chiusura della linea che costruiva la Mito, l’unico modello in produzione è il Suv Maserati Levante. Ma da solo non può saturare le linee.

Il prolungamento della solidarietà è di sei mesi ma tutti danno per scontato che a marzo l’azienda annuncerà altri sei mesi. Sarebbero però gli ultimi: le leggi vigenti non prevedono altri ammortizzatori possibili e dunque gli esuberi dichiarati – aumentati da 800 a 1.200 – a quel punto sarebbero licenziati.

Non va molto meglio a Grugliasco dove si producono gli altri modelli Maserati – Ghibli e Quattroporte: le ore di cassa integrazione nel 2017 supereranno quelle del 2016. In entrambi gli stabilimenti l’11 e il 12 ottobre si terranno le elezioni per gli Rls – i rappresentati dei lavoratori per la sicurezza – e nell’urna il malcontento si farà inevitabilmente sentire.

GLI ANIMI PIÙ AGITATI e l’attesa per un annuncio di Marchionne – al momento non previsto – sono certamente a Pomigliano. La fabbrica dove nel 2010 è partita la rivoluzione ha vissuto come un trauma l’annuncio dell’addio della Panda dato da Marchionne lo scorso marzo. L’utilitaria tornerà in Polonia a Tychy, ma nessuno ancora sa quale modello la sostituirà.

La situazione degli ammortizzatori sociali per i 5mila del Giambattista Vico è molto simile a quella delle carrozzerie di Mirafiori: il contratto di solidarietà allargato non potrà essere prolungato oltre e neanche con due nuovi modelli – nel 2016 la richiesta dei sindacati firmatari era di avere addirittura tre modelli – si potranno saturare le linee.

Nel frattempo 253 lavoratori in “prestito” a Cassino sono rientrati alla base, facendo aumentare l’incidenza della solidarietà.

DA QUALCHE ANNO LA FABBRICA (italiana) più grande del gruppo Fca è Melfi. In Basilicata i dipendenti ora sono 7.600, lo stabilimento sforna tre modelli: la vecchia Punto e i due Suv – la Jeep Renegade e la 500X.

Anche qui però è arrivata la cassa integrazione: alcune settimane nei mesi estivi e ora due settimane fra settembre e ottobre. Mentre già si vocifera di un nuovo stop nella prima settimana di novembre. Accanto ai 1.200 operai coinvolti sulla linea della Punto (in via di chiusura) e ai circa 6mila sulle linee dei due Suv, a pagare il prezzo più grande della crisi sono le 3mila persone dell’indotto: 500 sono già state licenziate mentre i mille della logistica rischiano molto.

La Cassa integrazione è invece la norma nell’impanto ex Vm di Cento che produce motori diesel.

SOLO A CASSINO – grazie ai buoni risultati dei nuovi modelli Alfa (Giulia e Stelvio) – la parola “cassa” non fa capolino da febbraio scorso.

Ma la frenata c’è anche qua (utilizzo dei Par) e i ritmi massacranti di lavoro – e il taglio della pausa di 10 minuti come a Melfi – hanno portato alla proclamazione di scioperi.

[do action=”quote” autore=”Michele De Palma, Fiom”]«La verità è che esistono due Fca: quella del piano finanziario e quella della situazione critica dei lavoratori italiani»[/do]

UN QUADRO A TINTE FOSCHE sul quale aleggia poi lo spettro dello scorporo di Magnetti Marelli, un gioiello di tecnologia ambito perfino da Samsung, che dà lavoro a migliaia di persone fra Bologna e Bari.

REDUCE DAL CAE (Comitato aziendale europeo) tenutosi a Torino la scorsa settimana, il responsabile Fca Fiom Michele De Palma fa il punto della situazione: «La verità è che esistono due Fca: quella del piano finanziario e quella della situazione critica dei lavoratori italiani. La piena occupazione entro il 2018 al momento è un miraggio. Servono al più presto nuovi modelli, specie per Pomigliano e Mirafiori, e negli altri stabilimenti è necessaria l’implementazione di nuove motorizzazioni ecologiche sui modelli esistenti – spiega De Palma – . Noi non abbiamo firmato il contratto, ma vogliamo far tornare la vertenza in mano ai lavoratori: per questo proponiamo a Fim e Uilm assemblee unitarie».

Ha fatto rumore invece la presa di posizione di Ferdinando Uliano della Fim Cisl su Pomigliano: «È necessario che in tempi brevi i massimi vertici Fca ci convochino per Pomigliano, i continui rinvii non sono più sostenibili».

Una richiesta estesa a tutti gli stabilimenti da parte da Gianluca Ficco della Uilm, il meno pessimista sul futuro: «I tempi ci sono ancora, ma chiediamo un incontro per tutti i settori con grande attenzione per Mirafiori, Pomigliano e Modena».