Il governo ha un’idea chiara sul come affrontare l’impasse determinato dall’affossamento del porcellum: col solito rinvio. La decisione è già presa. Di sostituire la legge maiala se ne parlerà nel prossimo autunno, quando la questione non minaccerà più lo sgangherato vascello di Letta e Alfano. La faccenda potrebbe risultare sgradita al volgo prima o poi votante, è vero. Niente paura: gli si darà in pasto il benemerito Senato, corredato da una più o meno drastica sfoltita al numero dei deputati. L’11 dicembre, con la stessa solennità con la quale pochi mesi fa aveva elencato irrinunciabili obiettivi puntualmente mancati, Letta annuncerà una riforma costituzionale limitata alla eliminazione del Senato e alla decurtazione dei parlamentari nonché l’avvio dell’alacre lavoro per inventarsi un sostituto del porcellum. Si concluderà per ottobre o giù di lì, al termine delle messianiche riforme di cui sopra. Che poi far votare al Senato il seppuku possa rivelarsi meno semplice del previsto è un particolare sul quale il presidente glisserà. Il solo annuncio farà comunque la sua porca figura.

Prendere tempo è necessario prima di tutto perché sulla nuova legge non c’è al momento nessun accordo. Il presidente Giorgio Napolitano è sceso in campo con l’abituale noncuranza per i confini istituzionali del suo mandato: «E’ imperativo il superamento del proporzionale». Cosa ci azzeccherà il parere dell’arbitro con la scelta dei parlamentari non si afferra. Non dovrebbe, però impera.

La sentenza disegna un modello proporzionalista: il fronte che vuole quel modello (centristi più una parte del Pd) ne esce giocoforza rafforzato. Berlusconi ancora non ha deciso come muoversi. Smadonna contro Napolitano, che considera regista anche di questa operazione. Paventa un decennio di larghe intese. Oltre non va, ma è la logica stessa a spingerlo verso il Mattarellum, sistema che piace anche a una parte del Pd, alla Lega a Sel e al M5S. Contro il quale gioca però un fattore infido: la norma costituzionale che impone l’alternanza di genere. Difficile, salvo ricorso all’ermafroditismo di massa, rendere un unico candidato equamente diviso tra maschile e femminile. Infine aleggia l’ombra del doppio turno di collegio, che però per passare avrebbe bisogno del semaforo verde di Alfano, che proprio ieri, almeno a parole, ha escluso l’opzione. Ma siamo solo agli inizi.

La vessata tattica del rinvio risponde anche, forse soprattutto, a un’altra esigenza: blindare il governo e garantire l’impossibilità di votare. Ieri a Montecitorio, tra i pd era tutto un gongolare: «Che mazzata ha preso Renzi!». Festosità un po’ surreale, dal momento che il bastonato sarà tra pochi giorni il loro stesso segretario. Ma Matteo Renzi, come Belle Grillo e Silvio Berlusconi, voleva votare e la benedetta sentenza rende l’obiettivo quasi irraggiungibile.

La medesima esigenza di tirarla per le lunghe determina il durissimo scontro in corso tra le due camere. A Montecitorio la legge prenderebbe la rincorsa e prevarrebbe quasi certamente il Mattarellum. Al senato è tutt’altro paio di maniche. La conferenza dei capigruppo della camera, su pressione dei grillini, reclama ufficialmente l’assegnazione della legge, impantanata da mesi a palazzo Madama. I senatori, che si sono appena inventati un comitato ristretto proprio per non passare la legge ai colleghi deputati, si ostinano. «La legge non si sposta dal senato», tuona Calderoli che, con la pd Finocchiaro, ha ideato l’espediente per trattenere la riforma dove il passo da lumaca è garantito (in questo modo, oltretutto, sarà proprio lui, papi del porcellum, a vergare la legge che sostituirà la mostruosa sua creatura). Più estremi i “moderati” di Angelino l’ex delfino: «Se il presidente del senato si piega, le nostre reazioni saranno proporzionate a un comportamento così grave». La replica arriva rapida dai deputati del Pd: «Diktat e minacce inaccettabili». A sbrogliare la matassa proveranno ora Boldrini e Grasso. Non sarà facile.

Una camera contro l’altra, piddini che si azzuffano con piddini, centrodestra lacerato… Gli opinionisti si affannano per dipingere una situazione sotto controllo. La verità è che questa non è una riforma elettorale: sono gli Hunger Games della politica.