Si sta rapidamente profilando lo scontro frontale annunciato fra Obama e il congresso controllato dai repubblicani che promettono guerra senza quartiere al presidente su tutti i fronti: sanità, estero, riforme salariali. Prima sulla rotta di collisione però è l’immigrazione, tema su cui inizialmente Obama ha scelto una linea conciliatoria, tentando di negoziare un compromesso coi repubblicani sul progetto che regolarizzerebbe la situazione di oltre 11 milioni di residenti “indocumentati”, quasi interamente ispanici, su cui si regge tra l’altro un vasto terziario sommerso. Nel suo primo mandato, per placare i conservatori il presidente ha perfino aumentato il numero delle deportazioni giunte sotto la sua amministrazione a circa 400000 l’anno – ben oltre quelle implementate da Bush, l’ultimo presidente repubblicano.

Dopo quattro anni di negoziati falliti è diventato però chiaro che la strategia repubblicana era pura dilazione e sabotaggio. Esigendo l’impossibile precondizione del sigillamento del confine meridionale, il Gop ha regolarmente negato un voto parlamentare sul Dream Act, il disegno di amnistia a favore almeno dei giovani. Ci sono infatti oltre due milioni di illegal aliens sotto i 35 anni, giunti nel paese perlopiù da piccoli a seguito delle famiglie, diplomati, laureati o reduci militari che non conoscono altro paese: americani a tutti gli effetti senza alcun diritto legale di cittadinanza o residenza. Sollecitato da sinistra e dalla base “latina” del partito nel giugno del 2012, Obama ha infine aggirato l’ostruzionismo repubblicano annunciando che non avrebbe più applicato a costoro le leggi di deportazione: una «sospensione unilaterale» denunciata da repubblicani e tea party che hanno chiesto a gran voce l’impeachment. L’argomento è tornato subito alla ribalta non appena i repubblicani hanno incassato la recente vittoria alle urne.

I seggi avevano a malapena chiuso che i leader del Gop hanno lanciato truci proclami alla casa Bianca. Se Obama avesse continuato ad agire per decreto sull’immigrazione, ha affermato il nuovo presidente del senato Mitch McConnell, sarebbe stato come «sventolare un drappo rosso davanti a un toro scatenato». Ogni ulteriore riforma senza l’assenso dei repubblicani, ha aggiunto il capo della Camera John Boehner avrebbe «avvelenato il pozzo», e ha proclamato che chi «gioca coi fiammiferi alla fine si scotta». Alle minacce neanche velate della destra, Obama ora risponde con lo sprezzante annuncio proprio di un nuovo decreto che a quanto trapelato potrebbe ampliare l’amnistia di fatto ad un ulteriore 5 milioni di cittadini “ombra”. Per dare un’idea del livello dello scontro è come se Napolitano annunciasse un’amnistia per gli immigrati nel momento in cui Matteo Salvini e Borghezio si trovassero in maggioranza assoluta in parlamento.

Gli schieramenti presagiscono insomma uno scontro istituzionale senza precedenti con Obama pronto a usare «l’opzione nucleare» e i repubblicani disposti a rendergli pan per focaccia. Fra le possibili rappresaglie ci sarebbe un nuovo shutdown del governo (il nuovo bilancio federale deve essere approvato coi voti repubblicani entro l’11 dicembre) e la solita minaccia di impeachment. Si profila insomma uno scontro epocale fra un Obama che avendo appena perso il perdibile non ha letteralmente più molto da perdere e i repubblicani che ringalluzziti dal “plebiscito” credono di non avere più bisogno come prima di corteggiare il voto ispanico. Quest’ultimo potrebbe rivelarsi un grave errore di calcolo dato che i risultati dei midterm sono notoriamente poco indicativi delle successive presidenziali (e la demografia, con gli ispanici in continuo aumento, non mente).

Ad ogni buon conto il partito sembra deciso a cavalcare l’onda xenophoba e populista utile ad aizzare la base, quella dimostrata ad esempio lo scorso luglio quando la città di Murietta si è trasformata in una Tor Sapienza californiana, con orde di cittadini all’assalto dei pullman che portavano donne e bambini immigrati, dalla frontiera nei centri di accoglienza. La decisione di Obama sembrerebbe invece indicare che il presidente, di fronte all’accerchiamento delle sue politiche (una prossima sentenza dell corte suprema rischia ora di invalidare perfino al sua riforma sanitaria), abbia optato per una nuova militanza. Con un decreto sull’immigrazione potrebbe ora assicurare al suo partito la perpetua fedeltà di una generazione di elettori ispanici. Una cosa è assicurata: l’autunno di Washington sarà rovente.