Anche all’Ecofin, il vertice dei ministri economici dei 28 paesi dell’Ue e quindi non solo di quelli dell’area euro, l’argomento dei crediti inesigibili ha tenuto banco. Né poteva essere altrimenti, da quando la scorsa settimana sono arrivate da Francoforte le proposte delle nuove linee guida della vigilanza unica europea, tese a rafforzare dal 2018 le coperture dei “Non performing loans” delle banche. Proposte che in Italia hanno suscitato un vespaio, riunendo ancora una volta in santa alleanza Pd e Forza Italia, Bankitalia e Abi, Confindustria e governo Gentiloni. Con una sponda dell’Europarlamento, il cui presidente (popolar-forzista) Antonio Tajani ha inviato una “lettera semiaperta” a Mario Draghi – pubblicata in prima pagina dal Sole 24 Ore e riportata anche dal Corriere della Sera – protestando perché è mancata una discussione preventiva con l’assemblea di Strasburgo.
Al termine dell’Ecofin, il ministro economico-finanziario Pier Carlo Padoan ha spiegato: “Se c’è un paese interessato a una riduzione più rapida e sostenibile possibile delle sofferenze è l’Italia, lo stiamo facendo e stiamo ottenendo risultati. Ma non bisogna aumentare troppo (la velocità di riduzione, ndr) sennò si rischia di inciampare inutilmente”. Parata, e risposta: “Una delle conseguenze negative è che, se la pressione è tale da indurre le banche a svendere queste sofferenze, questo avverrebbe ad un prezzo molto più basso, a tutto beneficio di chi le compra. Ci sarebbe una redistribuzione di ricchezza, che fa leva su una situazione di emergenza, non desiderabile per nessuno”. Una “redistribuzione”, ma su questo Padoan ha diplomaticamente frenato, a tutto vantaggio delle centrali finanziarie, perlopiù anglosassoni, specializzate nel mercato dei crediti deteriorati.
La discussione è appena agli inizi, e dall’entourage di Padoan è stata subito fatta filtrare la notizia di un incontro con Mario Draghi. Nel mentre però anche il Fondo monetario internazionale, pur alzando le stime del pil italiano (da 1,3 a 1,5% in questo 2017, 1,1% nel 2018), ha sottolineato il nodo gordiano dei crediti inesigibili, che per Washington sono nelle pance delle banche, delle finanziarie e dei veicoli finanziari italiani per circa il 30% del totale dell’area euro. In numeri sono circa 300 miliardi sui 900 complessivi di Npl dell’eurozona. Dati lordi, cui Bankitalia ha replicato segnalando un calo dei crediti deteriorati netti ad agosto a 172,8 miliardi, dai 173,6 miliardi del mese prima, e dai 199,66 miliardi di 12 mesi prima.
Agli occhi della Bce comunque il problema è quello dell’area euro nel suo complesso. Di qui la richiesta a banche & c., a partire dal 2018, di coprire il 100% delle perdite potenziali in due anni se i Npl non hanno sufficienti garanzie, in sette anni se ci sono delle garanzie a sostegno. Di più: se in prima battuta la stretta di Francoforte sembrava indirizzata solo sui futuri Npl, le ultime notizie danno in cantiere un intervento simile anche su quelli esistenti. In risposta, oggi a Bruxelles la Commissione Ue presenterà una sua roadmap sulla riduzione degli Npl, iniziativa che potrebbe rallentare l’intervento della Bce.
Il condizionale è però d’obbligo, visto che la strategia di Francoforte appare motivata dal timore (dalla certezza?) che, nonostante l’airbag del quantitative easing, che pure dovrà essere progressivamente rallentato con il cosiddetto “tapering” già nel corso del prossimo anno, sia sempre presente il rischio dell’esplosione di una nuova bolla speculativa. Legata alle minacce che partono da Trump (e Goldman Sachs) di allentare le pur parziali regole introdotte negli Usa da Obama. E, in parallelo, da uno scenario geopolitico e finanziario, Brexit in primis, in piena effervescenza. Del resto, appena dieci anni fa, furono gli allora misconosciuti mutui subprime l’elemento scatenante che rivelò l’insostenibilità dei cosiddetti “mercati”.