La storia difficile, controcorrente ed eretica del Manifesto, organizzazione politica e quotidiano, è stata più volte contrassegnata da rotture profonde. Ogni volta ho pensato, con dolore, alla perdita di tanti legami, non solo di amicizia sodale ma di verità. Quella che impegnavamo, gettandoci dentro tutta la nostra vita, nell’ardua impresa di salvaguardare contenuti comunisti dentro il precipitare delle forme statuali e della politica. Per non parlare delle inadeguatezze e dei limiti personali e/o generazionali che mostravamo. Siamo stati un mondo che comincia a non esserci più: quello dei radiati dal Pci che costruirono le prime basi della nuova esperienza del Manifesto. Non penso solo alle fondatrici e fondatori più consapevoli, penso anche ai giovanissimi che cominciavano allora la loro stagione di vita politica.

Ogni volta sono rimasto convinto che quei rapporti così profondi non erano mai persi una volta per tutte. E che quella ricchezza di passione ed elaborazione non potesse essere cancellata dall’ultima, pur durissima, divisione. Questo è il pensiero che rivolgo a Marco Ligas. Era Marco un’«acqua cheta», tranquillo, piccolo, sereno all’apparenza ma testardo, forte, in mugugno e rivolta, pieno di misteri come un nuraghe. La sua ospitalità era proverbiale insieme al rigore di vita e di pensiero. Si poteva rompere con lui, ma il suo sorriso poi era un porto accogliente. La sua voce aveva la inaspettata autorità del tono basso, ma perseverante.

Rimasi sorpreso, ospite a casa sua per l’ennesima iniziativa di raccordo tra compagni nella sua Sardegna, a Cagliari, a Sassari e ad Alghero, del libro che bene in evidenza teneva nella libreria: gli scritti di Gramsci su come dovrebbe essere fatto un giornale. Stava tutto lì, diceva, il contendere da sempre con il giornale. Collaboratore assiduo de Il manifesto nei suoi primi 40 anni, aveva un legame indistruttibile, quasi una venerazione, per Luigi Pintor. Del resto, come dargli torto. E non perché fosse sardo, o meglio, non solo per questo. Ma perché gli assomigliava, nel rigore , nella ricchezza delle emozioni e nell’apertura divertita al positivo. A questo torno, al suo sorriso aperto al nuovo, alla sua voce sotto tono, perentoria ma dolce, se penso a Marco proprio ora nel dolore della sua scomparsa. Addio Marco.

Un forte abbraccio a Maria Grazia e alle figlie Valeria e Laura da tutto il collettivo redazionale de il manifesto .
(L’ultimo saluto oggi alle 16 al Cimitero San Michele di Cagliari)