A che punto è il progetto di autonomia differenziata? Salvini ha più volte assicurato che ci saranno «fatti concreti» entro le europee. Ma ieri sono stati proprio il governo e la maggioranza a dimostrare in una sola giornata che il dossier è in pieno caos e lo stallo totale. Prima il ministro dell’economia Tria, durante le audizioni sul Def ha spiegato che «siamo ancora nella fase embrionale» e dunque non si possono fare valutazioni sull’impatto economico della riforma. Poi i parlamentari di Lega e 5 Stelle, nella risoluzione di maggioranza sullo stesso Def, «in considerazione dello stato avanzato delle iniziative per la realizzazione dell’autonomia regionale» hanno invitato il governo «a dare seguito alla fase finale dei procedimenti».

«Fase embrionale» o «stato avanzato» e «fase finale»? Per capire che ha più ragione Tria basta stare ai documenti di ieri. Il ministro ha spiegato che «l’assenza dei Lep (i livelli essenziali delle prestazioni introdotti in Costituzione con la riforma del titolo V, 18 anni fa, ndr)» rende non realizzabile il «progressivo abbandono della spesa storica in favore di fabbisogni e capacità fiscali standard». I Lep sono rimasti sulla carta, mai concretamente individuati, e la ragione è semplice, come spiega Massimo Villone nel suo recente Italia, divisa e diseguale: «Metterebbero in chiaro la necessità di un travaso di risorse dal Nord al Sud, e non viceversa». Senza Lep non c’è che il criterio della spesa storica per accompagnare con le risorse l’avvio dell’autonomia rafforzata, ma in questo modo non si farebbe che cristallizzare la sperequazione nelle prestazioni sociali in favore delle regioni più ricche. I Lep non sono mai stati nemmeno abbozzati nel settore dell’istruzione ed è lì in particolare che si concentrano le preoccupazioni delle regioni meno ricche (meridionali). Ce n’è traccia anche nella risoluzione di maggioranza, quella che presenta il procedimento come se fosse «alla fase finale». «Con riferimento al sistema scolastico nazionale e al diritto allo studio» la risoluzione chiede al governo di «definire livelli essenziali delle prestazioni tali da garantire» il servizio «in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale». La semplice introduzione del criterio della spesa storica, secondo i calcoli di Gianfranco Viesti riferiti ieri dal Mattino, consentirebbe a Lombardia e Veneto di ottenere 1,4 miliardi in più solo per l’istruzione.

Tria ieri ha detto anche che «in alcuni casi le richieste regionali su materie che non possono essere oggetto di attribuzione non appaiono del tutto coerenti con i principi costituzionali» e in particolare ha spiegato di riferirsi alla «competenza esclusiva in materia di sistema tributario e contabile» che spetta allo Stato. Il ministro ha concluso che allo stato «non è possibile esprimere una valutazione degli impatti sulla finanza pubblica» dell’autonomia rafforzata. Non si possono escludere, vale a dire, quei costi straordinari per lo stato che la Lega ha sempre escluso. «Gli schemi di intesa», ha aggiunto il ministro, riferendosi ai tre che sono stati sin qui firmati a livello di bozze con Lombardia, veneto ed Emilia Romagna, «non quantificano le risorse ma costituiscono un quadro generale». E dunque «solo successivamente all’entrata in vigore della legge di approvazione dell’intesa potrà prendere avvio il complesso procedimento di definizione». In concreto bisognerà attendere i decreti del presidente del Consiglio dei ministri. «Se così è» si fa immediatamente sentire il presidente della regione Veneto Zaia, «allora nulla osta a che si approvi la bozza di intesa». Poi si vedrà.