Oggi, il candidato Emmanuel Macron presenta il suo programma per i prossimi 5 anni, in una rara conferenza stampa. Il 2 aprile terrà l’unico comizio della campagna, a otto giorni dal primo turno del 10 aprile. In una campagna che ha difficoltà a decollare, con gli altri 11 candidati che protestano di non poter dibattere con il presidente, accaparrato dalla guerra in Ucraina e dall’attività di capo dello stato, la crisi in Corsica ha fatto irruzione nel dibattito politico, dopo un lungo periodo di assenza dall’arena politica.

DA DUE SETTIMANE nell’isola si susseguono manifestazioni, anche violente, con la presenza soprattutto di giovani, e gli usuali scontri con la polizia. La scintilla è stata la violenta aggressione di cui è stato vittima il 2 marzo nel carcere di Arles Yvan Colonna, condannato all’ergastolo per l’assassinio del prefetto Claude Erignac avvenuto in un agguato con dei colpi di arma da fuoco alla schiena il 6 febbraio 1998, un omicidio che ha profondamente segnato la Francia. A Colonna, come agli altri co-imputati, non è stato mai concesso il diritto di essere incarcerato in Corsica, e per questo il movimento di protesta accusa lo stato francese di «assassinio», per averlo tenuto in un carcere sul continente, senza protezione, che ha permesso a un co-detenuto islamista di aggredirlo violentemente.

ADESSO IL GOVERNO cerca di correre ai ripari, per evitare un’esplosione, che potrebbe incidere negativamente sulla rielezione di Macron, mentre il Fronte di liberazione nazionale corsa, che aveva deposto le armi nel 2014, ieri ha minacciato di riprendere la lotta armata, per combattere il «sacrificio dei giovani».

DA IERI SERA, per due giorni, è in Corsica il ministro degli Interni. Gérald Darmanin, in un’intervista a Corse Matin, ha utilizzato la parola magica «autonomia». Per poi attenuare la dichiarazione esplosiva: «Siamo pronti ad andare fino all’autonomia, ma non ci può essere dialogo nella violenza, il ritorno alla calma è una condizione sine qua non». E aggiungere: «Bisogna poi sapere cos’è l’autonomia» e in ogni caso «non ci metteremo d’accordo mercoledì e giovedì, il processo che può portare a un’eventuale evoluzione legislativa non si può fare nei 20 giorni che ci separano dal primo turno».

Darmanin ha persino evocato «uno statuto alla polinesiana», con riferimento allo statuto di autonomia che esiste solo nella Polinesia francese e in Nuova Caledonia e che lascia a questi territori d’oltremare le decisioni in materia economica, sociale, sanitaria, ambientale, mentre lo stato centrale conserva il potere “regale”, cioè la sicurezza, l’ordine pubblico, la giustizia, la politica estera, la difesa, i soccorsi.

NEL 2018, C’ERA STATA la promessa di una revisione costituzionale, con l’apertura di un “diritto alla differenziazione” per la Corsica, ma poi il progetto si è arenato al Senato. Il presidente nazionalista della Collettività corsa (nata dalla fusione della Regione e dei due dipartimenti), Gilles Simeoni (che tra l’altro è l’ex avvocato di Colonna) commenta: «Non è ancora una vittoria», ma ha accettato, con gli esponenti di alcuni movimenti locali, di dialogare con Darmanin sulle richieste dell’isola: una vera autonomia legislativa, per poter approvare norme contro la speculazione edilizia, sul fisco, sullo sviluppo economico, riconoscimento della lingua corsa. Dal 2021, Simeoni ha scartato dal potere locale l’ala indipendentista, più radicale, di Jean-Guy Talamoni, che è stato presidente dell’Assemblea di Corsica dal 2015 al 2021.

L’OPPOSIZIONE ACCUSA Macron e il governo di «improvvisazione», di «cinismo elettorale», per l’iniziativa di Darmanin. Anne Hidalgo e Valérie Pécresse, le candidate dei due partiti tradizionali (Ps e Lr), che hanno dovuto gestire negli anni la questione corsa, non si sbilanciano e promettono un «nuovo tipo di decentralizzazione», i Verdi sono favorevoli all’autonomia, il candidato Yannick Jadot accusa: «Con Macron, come al solito, ci vuole un dramma per cominciare a intravvedere una soluzione». Mentre l’estrema destra taglia corto: «La Corsica deve restare francese», dicono in coro Marine Le Pen e Eric Zemmour. Jean-Luc Méenchon nel 2017 aveva appoggiato la lista nazionalista.

CON LA PRESIDENZA Macron poco si è mosso. Jacques Casamarta, militante associativo di Per a pace, impegnato in Insieme a manca, sottolinea la «miseria sociale» che spinge alla protesta «al di là del caso Colonna»: c’è lo spettro del «declassamento» tra i giovani che riporta il ciclo violenza-repressione degli anni ’80-’90, 25mila disoccupati, un corso su 4 vive sotto la soglia di povertà, ci sono meno servizi sociali che nella Francia metropolitana e «7 anni di nazionalisti al potere» non hanno cambiato la situazione e una soluzione «non è possibile nella V Repubblica» centralizzata.