La storia dell’Egitto nell’ultimo mezzo secolo è figlia del colpo di stato che i «liberi ufficiali» di Naguib e Nasser effettuarono nel 1952 detronizzando l’imbelle re Farouk dopo decenni di neghittoso e corrotto malgoverno del paese sotto tutela britannica. Ambientato alla vigilia di questi eventi, intorno al 1950, l’ultimo romanzo di ‘Ala al-Aswani, Cairo Automobile Club (Feltrinelli, traduzione di Elisabetta Bartuli e Cristina Dozio, pp. 488, euro 19,00) fornisce uno spaccato, certo parziale ma innegabilmente suggestivo e realistico, della società egiziana negli ultimi anni di quell’epoca. Due sono i poli attorno ai quali si sviluppa l’azione: da una parte un luogo, il «Royal Automobile Club», esclusivo ritrovo degli europei e dell’élite egiziana ai cui tavoli da gioco il re passa gran parte delle nottate; dall’altra un piccolo gruppo di persone, la famiglia Hamam – di antica nobiltà rurale ma decaduta ed emigrata nella capitale – i cui diversi membri cercano, ognuno a modo proprio, di farsi strada nella società cairina.

Il mondo descritto è rigidamente spaccato in due: alla vita dorata degli europei, che dalla servitù esigono un servizio impeccabile e vedono gli egiziani (quando li vedono) come esseri inferiori, si contrappone l’indaffarato agitarsi della gente comune, che si fa in quattro per guadagnarsi il pane, avere una vita decente e cercare, se possibile, di fornire ai figli un’istruzione che consenta di sperare in un futuro migliore.

L’incubo dei dipendenti, che aleggia anche quando non è presente di persona, è il Kao, personaggio che per la sua intimità col re fa tremare perfino il direttore britannico del club e che infligge punizioni umilianti a ogni minima mancanza. Interfaccia sadica tra il potere che non si sporca le mani e la massa dei servi che lo temono ma lo sentono come un’entità ineluttabile e non osano obiettare anche alle più palesi ingiustizie, «il Kao onnipotente e tiranno che si annidava nelle loro menti li terrorizzava ma, al contempo, li confortava. Era severo e ingiusto, ma era anche il garante delle loro vite, li proteggeva e li faceva sentire al sicuro.»

L’atteggiamento pavido e arrendevole contraddistingue gran parte del personale, e ben pochi osano opporre la propria dignità alle sfrontate ingiustizie di questo sistema. Tutto il romanzo è invaso dal tema della dignità, che si può e si deve mantenere anche quando le circostanze della vita costringono a umiliarsi servendo i potenti: un tema particolarmente a cuore all’autore, che di recente – commentando l’attualità del suo paese – ha ricordato l’episodio di un ufficiale della scorta di Farouk che essendosi rifiutato di aprire la portiera all’auto del sovrano, rispose ai rimpreveri dicendo: «Sono un ufficiale della guardia reale e non un servo. Il mio compito è proteggere il re, non aprire portiere». Un esempio citato in contrapposizione all’estremo servilismo degli appartenenti alla Fratellanza musulmana, che invece si disputano l’onore di infilare le scarpe ai loro capi carismatici.

In effetti, come spesso avviene, in particolare nel mondo letterario arabo, il libro parla di cose passate con un occhio ben fisso al presente. E il presente è costituito dagli incerti esiti della «primavera» del 2011, che per molti ha avuto il senso di cercare quella dignità negata da un regime contraddistinto da corruzione, nepotismo e disprezzo per chi era fuori dal sistema di potere. Nei fatti, però, questa aspirazione si è scontrata con le contraddizioni di quanti non riescono intimamente a emanciparsi dalla necessità di un «uomo forte», sia esso un capo religioso o un militare, da cui subire anche ingiustizie ma ricavare, in fondo, certezze e identità.

«Tra un servo e un operaio c’è una bella differenza. Un operaio che prende coscienza sarà un vero rivoluzionario. Un servo, di solito, è stato talmente snaturato da non riuscire ad accettare il cambiamento»: è questa la visione di un personaggio chiave nelle vicende del romanzo, Odette Fattal, ebrea libanese appartenente al partito comunista, il cui marito vive in Francia per motivi non chiariti. Odette ricorda molto da vicino la figura reale della militante comunista Rosette Aladjem, moglie di Henri Curiel, espulso dall’Egitto per le sue attività rivoluzionarie, ed è probabile che per molti fatti e personaggi del libro al-Aswani si sia ispirato alla realtà (come ad esempio nel caso del prosseneta italiano che riforniva il talamo reale di sempre nuove conquiste, una figura ben nota alle cronache dell’epoca). Quel periodo storico è molto approfonditamente conosciuto dall’autore che riesce bene nelle sue descrizioni, sia quando presenta le piccole e grandi ingiustizie, ruberie e meschinità quotidiane, sia quando tratteggia l’emergere di quel sentimento di ripulsa verso l’occupante britannico e verso lo stesso re che in seguito avrebbe garantito al regime di Nasser un appoggio popolare quasi plebiscitario. Un sentimento che all’epoca dei fatti prendeva le forme dell’opposizione politica, costituita da un’alleanza tra «Avanguardia wafdista», comunisti, studenti e giovani operai contro il palazzo, gli inglesi e «i Fratelli musulmani, noti per il loro opportunismo», ma che si radicava anche là dove la politica non arrivava, tra le masse diseredate che prendevano poco a poco coscienza dei loro diritti e dell’insostenibilità di una situazione così degradante.

Lo stile piacevole di al-Aswani, assecondato da un’ottima traduzione, induce a seguire con interesse il dipanarsi delle diverse vicende che si intrecciano nel corso dell’opera. Fin dai capitoli introduttivi – sostanzialmente marginali rispetto al nucleo del romanzo – è evidente il gusto per l’affabulazione che porta l’autore a descrivere se stesso alle prese con i personaggi che la sua scrittura rende «reali» e successivamente ci fa assistere con vivacità, realismo e humour alle vicende che hanno portato all’invenzione dell’automobile, lontana premessa alla nascita dell’Automobile Club.
Se un rilievo si può muovere a al-Aswani, questo riguarda la sua propensione romanzesca per un trionfo della giustizia purtroppo estraneo alla realtà, con il lieto fine che corona gli sforzi dei «buoni» e la punizione che colpisce i malvagi: Saliha, la ragazza studiosa, riuscirà a liberarsi da uno sciagurato matrimonio precoce, Mahmud l’ingenuo gigolò si redimerà e si darà alla religione, lo studente patriota, Kamel, innamorato dell’inglesina ribelle al padre, benché scoperto e arrestato convolerà con lei in carcere, mentre il fratello egoista Sa’id si ritroverà con un pugno di mosche, e il meschino Mr. Wright, pronto a mandare la figlia nel letto del re pur di ingraziarselo, vedrà i suoi piani andare in fumo e perderà pure l’amante. Quanto al temutissimo Kao, quel che preveanche lui farà farà una brutta fine.