L’Italicum giunge al voto finale in senato con un carico accresciuto di macroscopiche violazioni della Costituzione e del regolamento.
La prima viene dal «supercanguro». L’approvazione dell’emendamento 01.103, a firma Esposito, ha fatto cadere – a quanto si legge – decine di migliaia di emendamenti. Magia parlamentare? In realtà il trucco c’è, e si vede. In principio, un emendamento sostituisce un contenuto normativo. Da qui la tipica formula: «sostituire le parole A, B, C con le parole D, E, F». Per l’art. 72 Cost. la legge elettorale è necessariamente discussa e approvata in assemblea articolo per articolo. Per l’art. 100 del regolamento senato gli emendamenti seguono la stessa logica.

L’emendamento 01.103 premetteva all’art. 1 dell’Italicum un articolo 01 recante in sintesi indirizzi generali per l’intera proposta. Non richiamava altri articoli, commi, emendamenti, e non ne toccava quindi il contenuto normativo specifico. Nemmeno poneva norme autonomamente applicabili. Né infine rispettava il principio della discussione e approvazione articolo per articolo, come è provato proprio dalla decadenza di emendamenti a molteplici articoli del disegno di legge.

Come è stato detto in Aula, al più avrebbe potuto configurarsi come ordine del giorno.

Seguendo la logica dell’emendamento Esposito basterebbe – sotto le mentite spoglie di emendamento – anteporre a qualsiasi disegno di legge un riassunto dei suoi contenuti e approvarlo per far ritenere preclusi tutti gli emendamenti. Un bavaglio istantaneo e, se fatto dal governo, una sostanziale ghigliottina disponibile ad libitum.

Basta e avanza a provare il tradimento della lettera e dello spirito della Costituzione e del regolamento, e per di più in una materia cruciale, come è quella elettorale. L’emendamento 01.103 doveva essere dichiarato inammissibile, in quanto privo di «reale portata modificativa» (art. 100.8 reg. sen.).

Approvato, avvelena l’intero testo, aggiungendo motivi a una futura impugnativa davanti alla Corte costituzionale.

La seconda macroscopica violazione viene dalla conclamata inosservanza della sentenza della Consulta 1/2014, che si incardina nella indiscutibile natura del voto libero e uguale come diritto fondamentale e inviolabile. Eventuali limiti devono essere necessari per il raggiungimento di fini costituzionalmente rilevanti, proporzionati ad essi, e giustificati dall’assenza di alternative meno lesive.

Tali principi sono lesi dai capilista bloccati. Di fatto, solo gli elettori dei maggiori partiti potranno esprimere utilmente la preferenza. Ciò rende il voto diseguale, tra elettori di partiti diversi, e lo rende altresì per tutti non libero, concorrendo comunque il voto ad eleggere un capolista che potrebbe essere non voluto. In ultima analisi, è la stessa lesione censurata dalla Corte nel porcellum. E il controllo della rappresentanza che la norma persegue non è obiettivo costituzionalmente apprezzabile.

Inoltre, nell’Italicum non è necessaria e proporzionata la riduzione della rappresentatività dell’assemblea. Anche assumendo la stabilità/governabilità come interesse costituzionalmente rilevante e bilanciabile con il diritto di voto – e personalmente non concordo con l’avviso in tal senso della Corte – è ovvio che l’obiettivo si raggiunge pienamente già con il megapremio e il ballottaggio. È certo che una maggioranza parlamentare esiste. Posticcia magari, e con l’aggiunta di seggi non conquistati nelle urne: ma c’è. Questo rende le soglie di sbarramento, ancorché abbassate, un limite inutile ed eccessivo.

La semplificazione del sistema politico non è un obiettivo costituzionalmente apprezzabile, e anzi si pone in contrasto con l’art. 49 Cost.

Lo stesso argomento vale per il premio alla sola lista, che colpisce altresì il voto uguale. Nel caso di una coalizione vincente, l’elettore – pur avendo scelto lo stesso schieramento – si troverà sotto o sovra rappresentato a seconda che abbia votato per il partito maggiore o quello minore. Sarà inoltre favorita l’invenzione di listoni unici di facciata buoni solo per il voto. E che però accentueranno la decisione oligarchica e centralistica delle candidature, posto che listoni siffatti richiedono mediazioni complessive impossibili in periferia.

Esistevano alternative meno dannose?

Certamente sì. Abbiano assistito a una distruzione voluta per obiettivi non condivisibili e motivi abietti. Se tutto questo andasse avanti, diremmo addio alla Repubblica democratica e alla Costituzione come le abbiamo conosciute. Addolora che ciò accada nel disinteresse dell’opinione pubblica, per mano di un parlamento delegittimato per l’incostituzionalità dichiarata della legge elettorale, selezionato al peggio da tre turni consecutivi di Porcellum, e ormai privo di qualità e di nerbo.

Durante il ventennio tanti non vollero vedere, ascoltare, parlare. Ma nacque anche un ceto politico che seppe rischiare il proprio futuro, e persino la vita, anche quando sembrava non esserci speranza.

Se quegli uomini e quelle donne avessero sofferto le debolezze di quelli che oggi popolano le istituzioni, saremmo ancora tutti in camicia nera.