Un interrogatorio fiume che è andato ben oltre i tempi previsti. E che al momento di andare in stampa non si è ancora concluso. Nichi Vendola, governatore della Puglia, è arrivato poco prima delle 15 di ieri nella sede del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Taranto per essere interrogato, come da lui richiesto, nell’ambito dell’inchiesta sull’Ilva portata avanti dal pool di inquirenti della procura tarantina. Vendola rientra infatti tra i 53 indagati che lo scorso 30 ottobre ricevettero l’avviso di garanzia per la conclusione delle indagini preliminari.

Il governatore è indagato per il reato di concorso in concussione aggravata: la tesi dell’accusa, infatti, poggia su alcune pressioni che lo stesso Vendola avrebbe esercitato sul direttore dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale Giorgio Assennato nel corso del 2010, al fine di ammorbidire i controlli ambientali sull’Ilva, a seguito delle insistenti richieste che arrivavano dall’azienda tramite l’ex responsabile delle relazioni istituzionali, Girolamo Archinà. Pena la mancata conferma nel ruolo di direttore il cui mandato andava rinnovato proprio nel febbraio 2011.

«Abusando il Vendola, della sua qualità di Presidente della Regione – si legge nell’avviso di conclusione delle indagini – mediante minaccia implicita della mancata riconferma nell’incarico ricoperto, costringeva Assennato Giorgio, direttore di Arpa ad ammorbidire la posizione di Arpa nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’impianto siderurgico dell’Ilva».
Circostanza, quella delle pressioni, che non solo Vendola ma anche lo stesso Assennato hanno però smentito più volte, pur se il direttore generale dell’Arpa si ritrova anch’egli indagato con l’accusa di favoreggiamento nei confronti del governatore della Regione Puglia.

I pm infatti contestano ad Assennato l’aver negato di aver ricevuto pressioni da Vendola durante gli interrogatori in cui è stato chiamato a deporre per gli episodi incriminati. Che troverebbero conferma anche in una mail nelle mani della procura, che l’ex pr dell’Ilva Girolamo Archinà inviò il 22 giugno del 2010 a Fabio Riva, vicepresidente della Riva Fire attualmente in Inghilterra e in attesa di essere estradato in Italia. In quella mail Archinà sostiene che Vendola ha intimato in Regione che «per nessun impianto di Ilva si deva ipotizzare una sia pur minima riduzione produttiva».

Nella sede della Finanza Vendola è giunto accompagnato dal suo legale, l’avvocato Vincenzo Muscatiello, senza rilasciare alcuna dichiarazione ai giornalisti. Ad interrogarlo il procuratore capo Franco Sebastio, l’aggiunto Pietro Argentino e i sostituti Remo Epifani e Giovanna Cannarile. Anche durante l’interrogatorio di ieri, secondo alcune indiscrezioni, Vendola avrebbe smentito ogni tentativo di pressione sull’Arpa e sul suo direttore Assennato, affermando di averlo voluto lui stesso alla guida dell’Agenzia e presentando una memoria difensiva nella quale ha ricordato che il suo governo regionale è quello che ha affrontato con maggiore incisività rispetto a quelli passati, il nodo ambientale dell’Ilva, varando anche tre leggi specifiche: sulla diossina, sul benzoapirene e sulla valutazione del danno sanitario per le popolazioni residenti nelle aree dove sono ubicati grandi poli industriali ad elevato impatto ambientale. Leggi la cui efficacia però, non ha portato gli effetti sperati.

Sempre ieri pomeriggio, nella stessa caserma, è stato sentito dai magistrati, separatamente, il direttore generale dell’Arpa Giorgio Assennato. Oltre a Vendola sono indagati dalla procura di Taranto, sempre con l’accusa di favoreggiamento, anche l’attuale assessore all’Ambiente pugliese Lorenzo Nicastr, e alcuni dirigenti regionali tra cui Davide Pellegrino, attuale capo di gabinetto di Vendola, e Antonello Antonicelli, responsabile dell’assessorato all’Ambiente.