Dopo la sconfitta, il Movimento 5 Stelle è in piena crisi di nervi. Tutti si sentono sotto accusa e sotto attacco e non sarà facile serrare le fila. Nell’immediato, c’è un “problema” che viene dall’esterno (dall’Inghilterra e si chiama Nigel Farage, il leader dell’Ukip che dialoga con Beppe Grillo) e contemporaneamente c’è anche il rischio che si scateni una “guerra civile” per comprendere chi ha sbagliato cosa in campagna elettorale.

Molti militanti, compresi diversi deputati, non hanno gradito l’incontro troppo ravvicinato tra Grillo e il leader populista inglese. C’è chi la definisce “alleanza da brivido”, c’è chi non vuole avere niente a che fare con chi “ha modi e idee da estrema destra” e chi preferisce continuare da “soli”. Insomma, la prima uscita europea si è rivelata piuttosto imbarazzante. Ma è sull’analisi del voto che volano gli stracci. Il movimento si sta ponendo due domande cruciali. Dove abbiamo sbagliato? E come dobbiamo ripartire? Si chiama autocritica. I penta stellati almeno ci stanno provando, con lunghe sedute di autoanalisi e anche con un documento dello staff di comunicazione riservato ai parlamentari. Il testo ha il pregio di non fare sconti a nessuno. Ma ha un difetto: non è stato concordato con Grillo e Casaleggio. I due sarebbero “su tutte le furie”.

Alcuni “errori” sono stati messi a fuoco. Il più marchiano, suggerisce lo staff, è stato lo slogan “vinciamo noi” (che si ritaglia perfettamente sulla persona di Grillo). “Ci si è creduto così tanto – si legge nel dossier – da aver spinto gli altri partiti a crederci e quindi a reagire con la chiamata alla armi”. Un’altra critica punge il capo. I penta stellati sarebbero stati troppo aggressivi: “Renzi ha saputo trasmettere serenità costruttiva, mentre noi abbiamo trasmesso energia sì, ma ansiosa e fatta percepire dai media e dagli altri competitor come distruttiva”. Renzi, sostiene lo staff, ha saputo smarcarsi dal “suo partito che non trascina” e per questo non ha subito i contraccolpi dello scandalo Expo. E tanta aggressività, ecco un’altra bordata, ha messo paura all’elettorato che avrebbe votato non tanto “per” Renzi ma “contro” il M5S. Insomma, una volta i comunisti mangiavano i bambini e adesso sono loro ad essere passati per cattivi: “La chiamata alle armi contro la forza del male è riuscita, tanto è vero che a sinistra invece di esultare per un risultato mai ottenuto hanno tirato un respiro di sollievo o inveito contro il grillino sconfitto”. Ma non tutta la colpa sarebbe del “maestro”. I parlamentari sarebbero apparsi presuntuosi e inconcludenti e loro stessi hanno percepito “un atteggiamento di sfiducia”. In una parola: “Non sono di governo”. Dice il rapporto: “Si ritengono poco concreti. Mancano di umiltà e a volte sono percepiti come saccenti”.

Il capitolo sul “che fare?” è interessante, perché si annuncia come un cambio di strategia e, forse, come la messa in discussione dell’infallibilità della coppia Grillo-Casaleggio. Primo: serve più televisione (cosa però molto sgradita a Casaleggio). Secondo: si deve tornare allo streaming. Terzo: lasciar stare le piazze ed entrare in contatto con i luoghi della socialità, scuole, università, posti di lavoro. Detto che la tv sarebbe fondamentale, lo staff suggerisce di tornare a parlare di cose che interessano: “I parlamentari devono tornare a confrontarsi su temi pratici e concreti. E farlo in streaming, in modo da interessare quelle fette di popolazione destinatarie del lavoro parlamentare o dell’attività di governo”. In ultima analisi, ecco un’idea banale che somiglia molto a ciò che è sempre stato il compito storico di una sinistra che non c’è più: “Uscire fuori”. E cioè: “Organizzare stati generali tematici, entrare nelle università, nei luoghi di lavoro. Aprirsi, prendersi le piazze mediatiche degli altri”. Infine, lo staff critica anche se stesso: soffre “la mancanza di coordinamento tra i vari produttori di notizie”.

Messa nero su bianco la prima analisi, adesso bisognerà aspettare la reazione ufficiale della voce più influente. Nel M5S c’è aria di cambiamento e i primi a farne le spese potrebbero essere proprio gli uomini che fino ad ora hanno curato la comunicazione a Montecitorio.