Sulla strada verso Al Hoceima, componiamo per la quarta volta il numero di Ouda. Secondo gli accordi presi, avrebbe dovuto attenderci in stazione. La sera prima si era mostrata disponibile: «Non c’è bisogno di prenotare alberghi, vi ospito a casa mia», ci aveva detto al telefono. Ma in stazione non c’è nessuno. La donna è stata intercettata.

Ouda è la moglie di Lahbib Alhannoudi. Da quasi un anno suo marito si trova nel carcere di Oukacha, a Casablanca. Insieme a lui, altre 49 persone accusate di «minare la sicurezza nazionale», manifestando per le strade delle principali città della regione del Rif. «Non hanno ascoltato le nostre richieste e oggi viviamo come chiusi in una pentola a pressione», ci spiega Khalid El Bekkari, membro dell’Associazione per i diritti umani in Marocco.

«Se date un’occhiata ai rapporti della polizia sui detenuti vedrete che tutte le chiamate fatte dalle famiglie sono state controllate, anche quelle private. Non capiamo perché lo Stato ha reagito così. Perché ci stanno facendo questo».

Halida è scioccata mentre racconta della violenza ingiustificata usata dalla polizia nel fermare prima suo fratello e poi suo marito. «Li hanno bloccati in strada. Li hanno buttati a terra insultandoli e picchiandoli e poi li hanno portati via».

La donna racconta anche dell’atteggiamento della polizia in carcere: «A ogni visita porto con me un paniere con cibo e bevande, ma a mio marito arriva solo latte e acqua. Il resto viene gettato via». Il marito di Halida è stato rinchiuso nel carcere di Taourirt, a circa 230 km da Al Hoceima, suo fratello è a Casablanca.

«Abbiamo il diritto di vedere i nostri cari solo per cinque minuti alla settimana – continua – Devo prendere un autobus fino a Taurirt e poi un altro ancora per raggiungere Casablanca che dista altri 600 km da casa mia. Oppure scegliere se vedere mio marito o mio fratello», conclude.

Le donne concordano nel sostenere che lo Stato divide appositamente le famiglie per mettere pressione e aggiungere altra sofferenza. «Il trasporto è uno dei principali problemi – spiega Mohamad Aghenay, avvocato dei detenuti politici di Casablanca – Le distanze sono lunghe e gli spostamenti faticosi, soprattutto per le donne anziane. Inoltre gli arrestati sono proprio coloro che provvedevano al sostentamento economico delle famiglie, che ora si ritrovano senza soldi».

Un comitato di solidarietà è stato istituito per agevolare i trasporti dei parenti: «Abbiamo fornito un autobus che ogni martedì notte parte da Al Hoceima per arrivare a Casablanca mercoledì mattina. C’è quindi la visita in carcere e poi si riparte», spiega El Bekkari.

Un aiuto importante, ma che non è sufficiente: «Il pullman collega solo Casablanca, ma non le altre città, anch’esse molto distanti da Al Hoceima, dove si trovano altri detenuti».

Le moglie e le madri del Rif sono stanche. La pressione dello stato le ha indebolite, eppure non demordono. Portano avanti le battaglie dei loro figli e dei loro mariti, davanti alle telecamere e in piazza: «Si sono battuti per la libertà, l’uguaglianza e la giustizia – conclude Halida – Sono scesi in strada contro la corruzione. Lo Stato li ha bloccati e arrestati, non tenendo conto delle loro richieste. Li ha tacciati di vergogna e li ha accusati di attivismo. Noi speriamo di trovare una strada per riconciliarci e ripartire».