«Usate un po’ di retorica anche voi, no? Dovete dire che quelli che sono contro l’Italicum sono a favore della partitocrazia». La maggioranza renziana va a lezione di comunicazione dal professor Pasquale Pasquino. E non solo di comunicazione, il professore essendo politologo illustre della New York University. Ma il gioco sulla legge elettorale e sulle riforme si è fatto duro e i «professoroni» sono ormai schierati come corpi scelti dai due fronti. I renziani, un po’ in debito, in un seminario per i deputati calano anche altri assi, come il costituzionalista Stefano Ceccanti e soprattutto il politologo Roberto D’Alimonte. Che fosse stato l’ispiratore fondamentale di Renzi per l’Italicum lo si sapeva; ieri ha raccontato di aver avuto un ruolo anche nel patto del Nazareno: «Ho detto a Verdini, se al ballottaggio si sfidano Renzi e Marina Berlusconi, a votare ci va il 90%». E patto fu.

Storia passata. Adesso Forza Italia è all’opposizione delle riforme, che per Berlusconi sono diventate «autoritarie». L’ex Cavaliere ieri si è rifatto vedere in parlamento (ha chiamato a raccolta i suoi, non tutti hanno risposto) e ha spiegato che Forza Italia voterà contro l’Italicum perché «Renzi l’ha cambiato 17 volte». I conti sono di Brunetta, e possono persino tornare, salvo che tutte le diciassette volte Renzi e Verdini si sono poi stretti la mano. La conversione di Berlusconi è più recente (segue com’è noto l’elezione di Mattarella al Quirinale) ed è per questo che metà partito lo accusa di aver rotto troppo tardi e l’altra metà di averlo fatto troppo presto. Se Renzi non teme molto il voto segreto sull’Italicum – quello finale è comunque inevitabile, per quante fiducie deciderà di chiedere – è proprio perché conta sull’appoggio segreto dei forzisti che non hanno rinnegato il Nazareno.

L’appoggio di gran parte della minoranza Pd non dovrebbe mancare. Esaurita la battaglia sugli emendamenti – che proprio le questioni di fiducia serviranno a stroncare, e nel caso il governo Renzi ha già dimostrato di saper chiedere la fiducia anche «in negativo», sul no a un emendamento – area riformista dovrebbe orientarsi per il sostegno «leale» a una legge che dichiara di non condividere. Resteranno in pochi, troppo pochi visti i margini a Montecitorio, a votare no all’Italicum e ancora meno a non votare la fiducia. La ministra Maria Elena Boschi in ogni caso chiede di evitare i voti segreti: «La battaglia avvenga a viso aperto». Il regolamento li consente proprio come garanzia per le minoranze. Mentre sembrerebbe escludere la possibilità di chiedere la fiducia, visto che in quel caso l’appello dei deputati diventa nominale e dunque salterebbe il «prescritto» scrutinio segreto. Il governo però rovescia il discorso: non chiedete il voto segreto e (forse) noi rinunciamo alla fiducia.

Intanto la commissione affari costituzionali, depurata dai dissidenti del Pd – che però sulla sostituzione non hanno sostanzialmente dissentito – ha chiuso in un lampo il lavoro referente e ieri, in anticipo di due giorni (si va in aula lunedì) ha consegnato il mandato ai relatori che sono il presidente forzista (area Fitto) Francesco Paolo Sisto per la minoranza e l’ex Sel oggi Pd Gennaro Migliore per la maggioranza. Fu lui nella prima lettura dell’Italicum, l’anno scorso, a chiedere il voto segreto su ogni articolo ed emendamento. Con la delegazione del Pd tutta renziana e le opposizioni che per il secondo giorno di fila hanno disertato per protesta la commissione, il primo sì alla legge elettorale è stato una formalità. E la soddisfazione della ministra Boschi è apparsa persino eccessiva: «Tutta la maggioranza ha votato compatta», ha detto, tacendo che era anche da sola.

Anche nella narrazione renziana, però, la sostituzione in blocco dei dissidenti non è un passaggio esaltante, e allora ecco che torna utile il seminario con gli accademici «amici». Dove il professore Pasquino non risparmia fendenti ai colleghi. Rodotà? «un radical chic». Zagrebelsky? «Intossicato dal berlusconismo». E il professor D’Alimonte rivendica tutto: «È vero, una legge elettorale che garantisce al 100% la maggioranza al vincitore non esiste in nessun altro paese, ma proprio questa è la bellezza dell’Italicum». Come già durante l’audizione in commissione, dove aveva spiazzato gli stessi renziani, D’Alimonte non nasconde la reale portata dell’Italicum, che è quella di una modifica della forma di governo: «Avremo l’elezione diretta del presidente del Consiglio e il rafforzamento dei poteri dell’esecutivo a spese del legislativo». Niente di meno. Eppure ancora poco per chi, renziano, rimprovera a Renzi qualche cedimento di troppo, come arriva a fare il vicepresidente della camera Giachetti. Che critica il ritorno, parziale, alle preferenze e il fatto che l’Italicum valga adesso solo per l’elezione della camera. E se lo dice perché guarda a quali potrebbero essere i profili di incostituzionalità delle legge, non sbaglia.