«Il governo cambogiano ha firmato l’estate scorsa un accordo con il governo australiano che prevede l’accoglienza dei rifugiati provenienti dall’Australia. Nell’accordo si specifica che verranno trasferite solo persone che accetteranno volontariamente e nessuno verrà forzato a prendere questa decisione.

La domanda è: Come facciamo noi ad avere la certezza che non siano stati forzati dal governo Australiano ad accettare questa proposta?” A mio parere, nessuna di queste persone voleva effettivamente essere trasferita in Cambogia.»

Suon Bunsak è segretario generale del Chrac (Cambodia Human Rights Action Committee), una coalizione di 21 organizzazioni che da anni si batte per il rispetto dei diritti umani in Cambogia. Con lui parliamo della situazione riguardante i quattro rifugiati arrivati da Nauru. Qualche settimana fa infatti sono arrivati qui in Cambogia dall’Australia, due uomini e una donna di origini iraniane un uomo di entia Rohingya proveniente dal Myanmar. Tutti e quattro scappavano dalla loro terra di origine e tutti e quattro avevano fatto rotta verso l’Australia per «rifugiarsi» in quella terra.

Che la situazione non fosse per nulla chiara lo si era capito da qualche settimana. A Phnom Penh alcune associazioni che si battono per i diritti umani stanno cercando, attraverso richieste ufficiali al governo, di fare luce su questo caso.

Ci può spiegare la situazione dei rifugiati qui in Cambogia?
La Cambogia aderisce alla International Refugees Convention: si impegna a rispettare le regole ratificate in questa convenzione. Per quanto riguarda i migranti arrivati dall’isola di Naru, sappiamo che sono stati presi in consegna dalle autorità durante la loro traversata, mentre si trovavano in acque australiane. Sono stati trasferiti sull’isola di Nauru, dove sono stati messi in un centro di accoglienza e posti in stato di fermo, in attesa di direttive del governo australiano, che poi ha deciso il trasferimento in Cambogia

Come sono arrivati e dove sono sistemati ora?
Sono arrivati con un normale volo di linea organizzato dal governo australiano. Sono ospitati in un palazzo che si trova qui nella capitale, a pochi passi da dove siamo ora, esattamente dall’altra parte del fiume. Il governo ha dato loro un alloggio di buon livello, un appartamento semi nuovo in un complesso vicino al Museo del Genocidio, vivono tutti insieme.

Lei è al corrente di che attività svolgono durante il giorno?
So per certo che per ora stanno nell’appartamento, stanno facendo lezione di lingua e cultura cambogiana e sono in attesa di capire, come tutti, come procederà la loro vita qui.

La popolazione come ha reagito a questo arrivo?
La scelta di questo tipo di alloggio ha fatto storcere il naso ad alcuni, qui a Phnom Penh. C’è chi addirittura li ha definiti «fortunati», perché almeno possono dormire in un posto dignitoso, cosa non concessa a tutti. Alcuni non hanno per nulla nascosto gelosia e invidia. Sia ben chiaro, nessuno qui sostiene che queste persone non debbano essere aiutate o ospitate, se in pericolo o difficoltà nei loro paesi di origine, ma molti pretendono di avere le stesse agevolazioni, vogliono ricevere lo stesso trattamento. Qui ci sono tantissime persone in difficoltà che non vengono in nessun modo aiutate dal governo, il che alimenta rabbia e frustrazione.

Quanto è il contributo monetario pagato dall’Australia per questo accordo e qual è il loro stato?
Su questo non ci sono certezze, si dice però intorno ai 40 milioni di dollari Usa. Secondo l’accordo, questa cifra verrà utilizzata anche per progetti di sviluppo in Cambogia. Ma chi ha la sicurezza che verranno davvero investiti per lo sviluppo? La corruzione è diffusa e difficile da contrastare.

Il loro status ad oggi non è ancora di rifugiati, stanno facendo la trafila per ottenere lo status, ma è palese che avranno molte meno difficoltà di qualsiasi altro rifugiato che cerca di entrare dal confine.

Qual è la situazione di questi rifugiati se messa a confronto con quella di «normali» rifugiati che cercando di entrare nel territorio cambogiano dalla frontiera?
È profondamente diversa. In base all’accordo con l’Australia, i quattro migranti diventeranno a tutti gli effetti rifugiati, ma non sono partiti già come rifugiati da Nauru, lo stanno diventando qui. Sono come dire «coperti» dall’accordo che permetterà loro di avere questo status a breve e senza nessun tipo di problema: passeranno il test e diventeranno a tutti gli effetti cittadini cambogiani. Per questo dico che la loro situazione è completamente diversa.

Poniamo che sia lei, dall’Italia, a chiedere asilo come rifugiato. La procedura prevederebbe prima di tutto un’intervista con l’ufficio del ministero dell’Interno che si occupa di rifugiati; poi dovrebbe superare diversi test; alla fine, la percentuale di domande respinte resta molto alta. Il loro status, invece, è creato dall’accordo e non dalla procedura normale di valutazione con cui si certifica o meno lo status di rifugiato. Ad esempio, gli immigrati cinesi di etnia uigura o i vietnamiti che cercano di passare il confine per chiedere asilo, sono spesso rispediti nei loro paesi di origine senza neanche un’intervista. Questo perchè la Cambogia ha sottoscritto alcuni accordi con Cina e Vietnam per la non accettazione di questi casi.

Lei, come si pone verso questo accordo?
Io sono contrario a questo accordo, perché dall’esatto momento in cui la Cambogia si impegna ad accettare questi rifugiati, commette una violazione dei diritti umani. Il governo australiano ha già commesso una violazione, perché loro volevano vivere in Australia e stavano andandoci. Essendo parte della convenzione sui rifugiati, l’Australia doveva riservare un trattamento corretto a queste persone, invece non l’ha fatto. Sono stati accompagnati in questo centro a Nauru e lì sono rimasti, prima di essere spediti qui. L’Australia ha già commesso una violazione. Se la Cambogia offre collaborazione all’Australia, si rende partecipe di questa violazione.
Il comitato che rappresento è contrario all’accordo, non vogliamo essere complici.

Dal governo cambogiano vogliamo chiarezza sui termini dell’accordo e pretendiamo un trattamento equo per tutti i rifugiati. Ognuno deve avere le stesse possibilità di diventare rifugiato, lo status deve essere concesso sulla base della storia di una persona, non per un accordo tra due governi.