L’Australia torna ai laburisti. Le elezioni generali di ieri hanno incoronato prossimo primo ministro Anthony Albanese, che interrompe il dominio di 9 anni dei conservatori. Scott Morrison, che aveva vinto inaspettatamente nel 2018, ha ammesso una sconfitta forse più netta del previsto.

Albanese ha ringraziato la madre, che l’ha cresciuto da sola con una pensione di invalidità. Seppe dell’esistenza del padre, un marinaio originario di Barletta, solo quando aveva 14 anni. E l’ha incontrato solo qualche decennio dopo in Puglia, poco prima della sua morte.

«In questo paese si può ottenere tutto», ha detto Albanese, che lo scorso anno è sopravvissuto a un gravissimo incidente stradale. Alle spalle ha una lunga carriera politica, con l’esordio in parlamento datato 1996. Se Morrison si definiva un bulldozer, lui preferisce l’etichetta di builder. Obiettivo dichiarato: ricostruire l’unità nazionale e garantire al popolo «il cambiamento che ha mostrato di desiderare alle urne».

Si è più volte espresso a favore di una sanità pubblica gratuita ed è uno storico difensore della comunità Lgbt+. Anti monarchico, ha fatto subito sapere che martedì prenderà parte al summit del Quad a Tokyo. Usa, Giappone e India lo attendono al varco per capire le sue posizioni in politica estera.

In campagna elettorale, Albanese ha comunque espresso il suo sostegno sia al Quad sia all’Aukus. I laburisti hanno tra l’altro partecipato alla sfida coi conservatori a chi si mostrava più anti cinese. Albanese imputa a Morrison il recente accordo tra Pechino e Isole Salomone e in generale l’ampliamento della proiezione cinese nel Pacifico meridionale, tradizionale area d’influenza di Canberra.

Ma prima dei missili viene le transizione energetica. Albanese ha infatti dichiarato di voler trasformare l’Australia in una «superpotenza» delle rinnovabili.