Tra le prime pagine del suo Autobiografia di una femminista distratta, Laura Lepetit racconta di come, mentre cercava un nome per la sua casa editrice La Tartaruga, le sia capitato di leggere un piccolo articolo in cui si elencavano le caratteristiche dell’animale: va piano, si porta la casa appresso e mangia molta insalata. Ha scoperto poi che la simbologia era ben più vasta, fino a scoprire che nel Parco dei Mostri di Bomarzo esiste una statua di tufo in cui una tartaruga regge una donna che porta il mondo sulle spalle. In realtà, alla domanda sul perché avesse scelto proprio quel nome per l’impresa sontuosa che aveva inteso intraprendere rispondeva sempre in maniera diversa.

SCOMPARSA IERI all’età di 89 anni mentre si trovava nella sua casa in Maremma, Laura Lepetit, intellettuale e femminista, ce la possiamo figurare nell’avventura di essere stata se stessa, ancor prima della scelta radicale che nel 1975 l’ha portata a fondare una casa editrice, diretta fino al 1997, che avrebbe pubblicato più di duecento titoli a firma di donne. Stiamo parlando di molte tra le scrittrici più autorevoli del Novecento, sia italiane che internazionali che ancora non erano state tradotte – basterebbe nominare Virginia Woolf e il suo Le tre ghinee – e dunque non avevano ancora varcato i confini del nostro paese per entrare nelle biblioteche, nelle scuole e negli scaffali di intere generazioni di ragazze e ragazzi che da quei testi hanno fatto fiorire interi immaginari culturali e politici.

Con i libri però Laura Lepetit si era già cimentata, nel 1965 insieme ad Annamaria Gandini e altri rileva Milano libri in via Verdi, poco dopo comincia la sua esperienza dirimente nel femminismo italiano, dall’interno e nel gruppo di Rivolta Femminile, con la Libreria delle Donne di Milano – fondata nello stesso anno della Tartaruga – e il mitico Cicip.

RILEGGENDO OGGI la sua Autobiografia, memoir che ripercorre una stagione visionaria e appassionata (pubblicato nel 2016 per Nottetempo), non si può fare altro che rinnovare la gratitudine per tanta ostinazione in anni complessi e aperti in cui al congedo dalle Èditions des femmes, le Women’s Press, le Frauenoffensive e le Virago Press, questa donna dallo sguardo severo e di lontananze antiche, si è dedicata paziente «a raccogliere le proprie foglie di insalata», tessendo trovando ed esplorando una miniera di autentiche perle.

NEL CATALOGO della Tartaruga non sono state ospitate solo le traduzioni di premi Nobel – da Nadine Gordimer a Doris Lessing e Alice Munro – bensì orizzonti genealogici inaggirabili della letteratura mondiale: Gertrude Stein, Margaret Atwood e Tat’jana Tolstaja, Merce Rodoreda e Ivy Compton-Burnett, e ancora Edith Wharton, Barbara Pym, Grace Paley, Carolyn Heilbrun così come molte altre. È stata esigente e felice per ciò che faceva, Laura Lepetit, circondandosi negli anni di amiche e donne speciali che l’hanno consigliata e a cui ha chiesto pareri, la sua è una storia di relazioni profondissime, traduttrici ma spesso lettrici o compagne della strada più lunga che è stata per lei il femminismo.

Accanto al pensiero della differenza sessuale, ha pubblicato libri fondativi della comunità filosofica di Diotima, di Luisa Muraro, Luce Irigaray e altre. È ugualmente sua l’intuizione di editare volumi importanti, da Lo spazio narrante di Ginevra Bompiani a Le lettere del mio nome di Grazia Livi, da Morte a Palermo di Silvana La Spina a L’io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi di Maria Luisa Boccia o ancora Taccuino tedesco di Fabrizia Ramondino. Si aggiungano altre folgorazioni, per esempio la ristampa del capolavoro di Paola Masino, Nascita e morte della massaia, così come quella della raccolta di Anna Maria Ortese, Silenzio a Milano.

LA VISTA di cui era dotata Lepetit l’ha condotta nella fiducia politica che ci lascia come lezione, suona come un augurio da raccogliere: «Vorrei che altre scrivessero come ho fatto io. Senza preoccuparsi di dover dire qualcosa o di dover tacere qualcos’altro, ma raccontando semplicemente quello che resta nel ricordo, lo scheletro portante di un’esistenza. Che può essere fatto di nulla, oppure di fatti e accadimenti fuori dal comune. Un cartoccio di pesce, un pavone nel lago, un lavandino di piatti sporchi».
Sono parole che danno un altro orlo allo smarrimento di significati in cui molte e molti si trovano, che raccontano della politica delle donne in cui ha vissuto, a lungo e amatissima, sono auspici soprattutto da tenere cari nel presente questi di Laura Lepetit, quando si preferisce il silenzio al frastuono causato da un tempo disintegrato che produce guerre inesistenti e non tiene conto della dirompenza che è il partire da sé, restando in ascolto, trovando la propria casa sulle spalle del mondo, per attraversarlo lentamente ma con precisione, mai nella solitudine.