Un baro, di solito, è anche un giocatore che si esalta quando al tavolo qualcuno osa alzare la posta. E la posta si chiama Iva, una tassa iniqua perché colpisce tutti allo stesso modo, solletico per i più danarosi, una mazzata per chi non arriva a fine mese. Una tassa spauracchio attorno cui si può agevolmente impostare una campagna elettorale che si annuncia pesantissima. La prossima. Enrico Letta avrebbe dovuto prevedere un azzardo simile: Silvio Berlusconi non aspettava altro che un’occasione come questa per far saltare il governo riproponendosi ancora una volta come l’uomo che mantiene la parola e non aumenta le tasse.

E’ stato Enrico Letta a decidere il rinvio del pacchetto di aumenti che avrebbe spostato al 2014 l’entrata in vigore dell’Iva (drenando comunque un miliardo di euro da raggranellare con altre tasse fastidiose, tra cui quella sulla benzina e l’anticipo dell’Ires). Sembrava una prova di forza. Prima della necessaria verifica in aula dopo la minaccia di dimissioni in massa dei piediellini – aveva tuonato Letta, senza pensare che Berlusconi facesse saltare il banco – non ci sarà alcun decreto blocca Iva. Stando così le cose, i moribondi delle larghe intese avrebbero dovuto trovare una improbabile intesa entro lunedì per evitare l’aumento di quasi tutti i beni che vengono acquistati dai cittadini italiani. Cosa impossibile visti i tempi ristrettissimi, e dunque occasione imperdibile per Berlusconi che d’ora in avanti cercherà di rovesciare la responsabilità sul Pd e sulla “sinistra” tout court. Una carta disperata, forse l’ultima della sua carriera.

Chi passerà per colpevole? La maggioranza degli italiani, quelli meno danarosi, certo non si straccerà le vesti per conoscere la risposta. Perché il fatto resta: che sia colpa del Pdl o del Pd, o di tutti e due, come è evidente, ormai è scaduto il tempo per scongiurare l’aumento dell’Iva dal 21 al 22% a partire dal primo ottobre. Enrico Letta, preso in contropiede, ieri sera avrebbe accusato il “tentativo di rovesciare la frittata” sulle ragioni dell’aumento dell’Iva, accusando il Pdl di aver provocato lo slittamento del decreto legge sostitutivo. Un rovesciamento che – anche se “è una balla”, come ha sintetizzato Letta – sentiremo ripetere come un mantra fino al giorno delle prossime elezioni.

Nel frattempo, fin da dopodomani, con il parlamento occupato da una classe politica in avanzato stato di decomposizione, i commercianti dovranno procedere ad aumentare i prezzi sul 70% dei prodotti abitualmente acquistati dai cittadini. Aumenterà tutto per portare nelle casse dello stato 1 miliardo di euro da qui a dicembre (4 miliardi all’anno). Beni di lusso ma anche vestiti, palestre e piscine, “divertimenti” vari (cinema, stadio, concerti), cd, televisori, elettrodomestici, ristrutturazioni… Federconsumatori stima un rialzo del tasso di inflazione dello 0,85%, corrisponde a più di 200 euro l’anno di spesa per una famiglia di tre persone. Ma la realtà sarà molto più salata, se è vero, per esempio, che da martedì un cappotto da 149,90 euro costerà 153,90, e che una bottiglia di vino da 6,90 euro aumenterà fino a 7,40. “La crisi ha già stremato le famiglie – commenta il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli – e impone perciò la responsabilità di scongiurare l’aumento dell’Iva perché questo determinerebbe effetti recessivi e depressivi esiziali per l’economia reale”.

Troppo tardi. Più che sofisticate speculazioni di natura elettoralistica, si tratta di sconfortanti questioni di portafoglio, con nove milioni di italiani già ridotti alla fame, e molti di più che si sentono totalmente privi di qualsiasi rappresentanza politica.