Tra le linee di faglia che separano e a volte oppongono gli esseri umani (genere, colore, classe sociale) ce n’è una che sfugge al primo sguardo, ma non per questo è meno rigida e, come usa dire adesso, divisiva: l’amore per i libri e per la lettura. Entrando in una casa dove non sia bene in vista almeno uno scaffaletto pieno di volumi dall’aspetto consumato, le lettrici e i lettori abituali – sebbene amino considerarsi persone di larghe vedute – proveranno la fastidiosa sensazione di essere penetrati in una terra aliena. Al contrario, il passo incerto e lo sguardo smarrito tradiranno subito la non lettrice o il non lettore che si siano trovati a varcare la soglia di una libreria o di una biblioteca.

QUELLO CHE I NON LETTORI non sanno (visto che non leggono) è che agli occhi dell’altra tribù la scarsa propensione alla lettura, per loro del tutto naturale, è motivo di angoscia. Non sanno quindi neanche, gli sciagurati non lettori, di essere oggetto di convegni e progetti tesi a dimostrare – in effetti ai lettori stessi, di questo già convintissimi – che leggere fa bene alla mente, alla salute, perfino al portafoglio individuale e pubblico, e che i non lettori sono un pericolo per sé stessi e per la collettività. Al punto che – come ha scritto acutamente Luca Ferrieri nel suo La lettura spiegata a chi non legge (Editrice Bibliografica, 2011) – «a leggere certi ritratti sociologici (ma sarebbe meglio dire sociosanitari) del non lettore, si ha l’impressione di un lombrosismo di ritorno, di una fisiognomica della lettura che appiccica a certi tratti comportamentali delle etichette morali».

Un’altra cosa che i non lettori non sanno e che forse li interesserebbe di più, è che leggere è di moda o perlomeno è di moda la bookishness, neologismo inglese con cui si indica la frequentazione abituale con i libri. Si intitola appunto Bookishness un libro edito a fine 2020 dalla Columbia University Press, la cui autrice, Jessica Pressman, docente di letterature comparate alla San Diego State University, analizza il libro come status symbol nell’era della cultura digitale.
Secondo Pressman, infatti, «in un’epoca in cui molte voci avevano predetto la morte della stampa, i libri continuano a riemergere in modi nuovi e inaspettati» e anzi, «la cultura del ventunesimo secolo è ossessionata dai libri».

PER LA VERITÀ gli esempi di questa ossessione non rassicurano chi continua a pensare che il rapporto migliore – se non l’unico – che si può avere con un libro è quello di leggerlo. Parliamo infatti di cuscini decorativi su cui è impressa l’immagine di una copertina o di leggings decorati con figure ispirate al mondo letterario di Jane Austen o di shelfies – quelle foto onnipresenti su Instagram, dove si inquadrano scaffali ricolmi di volumi (si presuppone) letti e amati, spesso ordinati per gamme di colore e accompagnati da oggetti di uso comune, tazze o piattini, a sottolineare quanto la lettura faccia parte della quotidianità dell’autore o dell’autrice di quello scatto.
Tutti questi, dice Pressman, «sono atti creativi che introducono la fisicità di un libro all’interno della cultura digitale in modi di volta in volta sentimentali, feticistici, radicali».

«Atti creativi», va detto, spesso pilotati dalla grande industria: per prendere solo due casi, citati da Michael Seidlinger su Publishers’ Weekly, la giapponese Uniqlo ha lanciato da poco una linea di magliette e altri capi di vestiario influenzati dai romanzi di Haruki Murakami, mentre la sigla Out of Print, nata nel 2010 per «celebrare l’amore per la letteratura attraverso t-shirt, borsine di tela, calzerotti e via dicendo», è stata acquisita nel 2017 da Penguin Random House, il maggior gruppo editoriale al mondo (esclusi i testi scolastici), di proprietà della conglomerata tedesca Bertelsmann.

MA ACCANTO a questa attrezzeria la bookishness ha prodotto o comunque agevolato la nascita di un nuovo genere: i libri in cui al centro ci sono i libri stessi – come si producono, come si vendono, come possono vivere nelle case, nelle librerie e nelle biblioteche, e perfino come muoiono.
Il caso più recente è il libro-rivista che inaugura la collana «Cose spiegate bene», edita da Iperborea in collaborazione con il giornale online Il Post, il cui direttore, Luca Sofri, scrive nell’editoriale di apertura: «Ogni numero avrà un argomento e abbiamo voluto partire da quello più autoreferenziale e spiegare questi oggetti – questi ‘prodotti’ – di cui eravate probabilmente circondati quando avete comprato questo». Curato da Arianna Cavallo e Giacomo Papi, il volumetto (formato tascabile, pp. 240, euro 19) intitolato sobriamente A proposito di libri si propone come un vademecum per il popolo bookish desideroso di sapere quanti mestieri ruotano intorno alla confezione di un libro (ne vengono elencati 24), quali sono i titoli più venduti degli anni Dieci (in testa ci sono le Cinquanta sfumature di grigio), in cosa consiste il «metodo Sellerio», chi sono i ghostwriter e qual è il profilo dei ladri di libri.

UNA SCELTA AUDACE, se si prende per buono un dato citato nella bandella di apertura: solo il 5,9 % degli italiani dichiara di leggere più di 7 libri all’anno. Che sia vero o no (le statistiche sulla lettura, per quanto elaborate con la massima serietà, lasciano sempre notevoli margini di dubbio), ipotizzare che in tanti si appassioneranno alla storia di «Stile libero», ai caratteri tipografici più usati in Italia o al metodo di produzione degli audiolibri può apparire azzardato. Eppure A proposito di libri è stato preceduto da una serie di titoli che presuppongono l’esistenza di un pubblico la cui attenzione per l’oggetto-libro non si limita alle parole in esso contenute.

Sono destinati a questo pubblico quattro volumi usciti durante il 2020, titoli diversi per taglio e misura, ma in qualche modo complementari. Se nel fastoso La biblioteca. Una storia mondiale (Einaudi, pp. 527, euro 48, traduzione di Luigi Giacone e Chiara Veltri), lo storico dell’architettura James W. P. Campbell e il fotografo Will Pryce ripercorrono per parole e immagini l’evoluzione, dalla Mesopotamia ai tempi nostri, di questi luoghi-cardine della cultura umana, nel primo saggio dello smilzo Come ordinare una biblioteca (Adelphi, pp. 129, euro 14) Roberto Calasso dispiega il proprio inesauribile sapere intorno a quel «tema altamente metafisico» che è appunto la disposizione dei libri in casa o in uno spazio pubblico; da parte sua Valentina Notarberardino, in Fuori di testo (Ponte alle Grazie, pp. 327, euro 18.50), analizza Titoli, copertine, fascette e altre diavolerie, come recita il sottotitolo, per comporre – grazie anche a una quantità di testimonianze raccolte sul campo – un autoritratto dell’editoria italiana: infine in Libri. Istruzioni per l’uso (Utet, pp. 221, euro 23) gli autori – Alessandro Mari, con Ginevra Azzari e Matilde Piran – fanno fede al titolo alternando nozioni generali a preziosi consigli pratici (per esempio, quanto devono essere distanti in altezza le mensole di una libreria o come asciugare i volumi che si siano accidentalmente infradiciati).

NÉ L’ELENCO si esaurisce qui, visto che nel 2021 Solferino ha mandato in libreria Bruciare i libri di Richard Ovenden, direttore della Bodleian Library di Oxford (pp. 366, euro 20) che, in coda alla storia – insieme dolorosa e avvincente – dei roghi grandi e piccoli di cui sono state oggetto nei secoli le opere letterarie, firma una sorta di manifesto in difesa di archivi e biblioteche. E ancora Utet ha pubblicato da poco Compro libri anche in grandi quantità del libraio d’occasione Giovanni Spadaccini (pp. 184, euro 16), che conferma come spesso chi vende e produce libri – librai ed editori, insomma – abbia in serbo storie più coinvolgenti di chi i libri li scrive per professione. (E intanto Adelphi, sulla stessa linea esperienziale, annuncia l’uscita di Cose da fare a Francoforte quando sei morto di Matteo Codignola, diario dalla Buchmesse di un editor raffinato e spiritoso). Insomma, che i libri, e soprattutto i libri sui libri, «facciano tendenza», è fuori di dubbio. Se solo i non lettori venissero a saperlo.

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SCHEDA. Lunedì 7, «Cose spiegate bene»

Tra i dati proposti in «A proposito di libri» (il primo numero della rivista in forma di volume «Cose spiegate bene» che verrà presentata lunedì 7 giugno alla Feltrinelli Pasubio di Milano con la partecipazione di Luca Sofri, Arianna Cavallo, Pietro Biancardi, Davide Di Gennaro e Federica Manzon) sono di particolare interesse quelli dedicati alle proprietà delle case editrici italiane: che il gruppo Mondadori sia il più grande in Italia con il 26,2 % del fatturato non è una sorpresa, ma è significativo che la percentuale sia più o meno la stessa del 2011, prima cioè della dibattutissima operazione Mondazzoli, l’acquisizione del gruppo Rcs. E non è irrilevante notare che i marchi editoriali indipendenti medi e piccoli (circa sotto l’1 %) coprano, nel complesso, quasi la metà del mercato (47,5 %), una crescita notevole rispetto al 39,5 % di dieci anni fa.