In nome del cessate il fuoco immediato a Gaza, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen è impegnato in un tour che lo sta portando nelle più importanti capitali del Medio Oriente. Ieri ha lasciato il Cairo alla volta della Turchia e prima di partire, in aeroporto al Cairo, ha incontrato il ministro degli esteri francese Fabius, con cui ha discusso di come fermare le ostilità. E ha trovato il tempo anche di avere un colloquio telefonico con papa Francesco. Un’attività frenetica che trova consensi negli Usa, in Europa e in vari paesi arabi, Egitto in testa, ma che viene guardata con diffidenza se non addirittura con ostilità da una buona porzione dei palestinesi di Gaza. Ed è anche cominciata na campagna contro il presidente palestinese. In alcuni siti da un paio di giorni campeggia lo slogan «Abu Mazen, tu non mi rappresenti». In un altro, vicino a Hamas, è proposto un fotomontaggio che mostra Abu Mazen, il presidente egiziano al-Sisi ed il premier israeliano Netanyahu, tutti schierati con l’elmetto contro Gaza. Dei pesanti riflessi politici per Abu Mazen dell’offensiva israeliana abbiamo parlato con Atef Abu Seif, docente di scienze politiche all’università Azhar di Gaza city ed editorialista del quotidiano al Ayyam.

Aprile e maggio sono stati i mesi in cui la stella del presidente palestinese è salita più in alto. Poi cosa è accaduto

La scomparsa a metà giugno in Cisgiordania dei tre ragazzi ebrei. Quella vicenda ha fatto riemergere una ampia differenza di giudizio e di azione tra Abu Mazen e Hamas. Il presidente ha scelto una linea in aperto contrasto con quella militante manifestata dal movimento islamico, preso di mira dalla campagna di arresti lanciata da Israele. Agli occhi della popolazione (Abu Mazen) è apparso sotto una luce negativa. Poi è cominciata la crisi di Gaza, che è cresciuta fino a sfociare nell’offensiva militare israeliana. In questo caso Abu Mazen da un ha lato condannato la brutalità delle operazioni militari israeliane e dall’altro ha cominciato a farsi promotore di un accordo per una tregua immediata, senza contropartita. Abu Mazen non ama la guerra, è un aperto oppositore della violenza e degli scontri militari. Quindi la sua entrata in campo è volta ad ottenere subito la fine dell’offensiva israeliana e dei lanci di razzi da Gaza.

Questa non è, per ora, la linea della maggioranza dei gazawi che vuole la fine dei bombardamenti e la revoca dell’embargo.

Questo è il punto. Abu Mazen non appare determinato a strappare agli israeliani e agli egiziani concessioni in grado di mutare radicalmente la condizione di chi vive in questo territorio, a cominciare dall’aperura permanente del valico di Rafah. E Hamas lo guarda con sospetto perchè l’Egitto, con il quale il movimento islamico intende tornare a parlare, dialoga solo con il presidente (palestinese). Mentre il movimento islamico vuole tornare ad essere un interlocutore del Cairo e sciogliere il gelo che è calato sulle relazioni dopo il golpe militare in Egitto. E Abu Mazen non sta aiutando Hamas, nonostante l’avvenuta riconciliazione interna palestinese.

Consensi in calo per Abu Mazen e in crescita per Hamas. Dureranno queste tendenze?

Solo se il movimento islamico raggiungerà gli obiettivi annunciati dopo l’avvio dell’offensiva israeliana, altrimenti anche Hamas avrà giorni difficili. Centinaia di morti e migliaia di feriti palestinesi, tante case distrutte sono un prezzo molto alto che si può pagare solo per qualcosa di radicalmente nuovo.