Mona Seif, attivista socialista egiziana, è sotto inchiesta per la lettera che ha pubblicato su Twitter in seguito al ritrovamento del cadavere del dottorando italiano, Giulio Regeni.

La giovane appartiene ad una famiglia di storici attivisti di sinistra. Suo fratello, Alaa Abdel Fattah, è in prigione ormai da mesi ed è stato condannato a 15 anni per il suo radicale rifiuto di accettare il regime militare di al-Sisi. Sua sorella Sanaa ha trascorso mesi in prigione per aver preso parte ad una manifestazione alle porte del palazzo presidenziale di Heliopolis nei giorni in cui si svolgevano le elezioni presidenziali nel 2014.

Sua zia, Ahdaf Soueif, è una delle più interessanti scrittrici egiziane, mentre suo padre, Seif al-Islam, era il direttore del Centro per la difesa dei diritti umani, Isham Mubarak, ed è deceduto lo scorso anno.

Mona aveva pubblicato un appello su Twitter, a poche ore dalla diffusione della notizia della morte di Giulio Regeni, in cui ha invitato gli stranieri a non recarsi in Egitto perché non sarebbe possibile garantire la loro sicurezza in questa fase di dura repressione. In un’intervista al manifesto, Mona aveva accreditato la pista dell’arresto sommario di uno straniero per spiegare le circostanze della scomparsa di Giulio Regeni.

«Ci sono arresti sommari continuamente – ci ha spiegato – Se qualcuno sente parlare due persone non in arabo avverte la polizia dicendo che sono delle spie». «E questi arresti possono finire con detenzioni e torture, come è avvenuto con Giulio», aveva aggiunto.

La giovane, membro del gruppo No ai processi militari per i civili, sarebbe accusata di «incitamento contro lo Stato» e di «danni all’economia».

Dal 2011, il numero di stranieri che si recano in Egitto è drammaticamente calato. Gli ultimi attacchi a turisti messicani e israeliani, insieme alla bomba esplosa a bordo sull’Airbus A321 che partiva da Sharm el-Sheikh, per finire con la violenta morte di Giulio, hanno finito per scoraggiare molti stranieri dal viaggiare in Egitto.

Sul fronte delle indagini, le autorità egiziane, non solo non sembrano intenzionate ad accordare nessun aiuto concreto agli investigatori italiani che si trovano in Egitto, ormai da oltre 15 giorni, ma, come confermato dal quotidiano Youm7, vorrebbero dare in pasto ai media un presunto killer, vicino alla Fratellanza musulmana. Ambienti degli islamisti moderati avevano già denunciato nei giorni scorsi la fabbricazione di prove false e la costruzione di un «capro espiatorio» per placare la crisi tra Italia ed Egitto che la morte di Giulio Regeni avrebbe potuto innescare.

In realtà, nonostante gli appelli del ministero degli Esteri Gentiloni, gli sforzi italiani non sembrano concreti per raggiungere la verità nel caso.

Questo è dovuto al fatto che gli interessi economici bilaterali sono davvero consistenti. Non solo, il premier Matteo Renzi è stato sempre il più strenuo sostenitore di al-Sisi sin dal golpe del 2013 che depose il primo presidente eletto della storia egiziana, Mohamed Morsi.

A dimostrare che la volontà di rispettare i diritti umani non sia all’ordine del giorno in Egitto era arrivata ieri la notizia della prossima chiusura del Centro per la riabilitazione delle vittime di Violenza e Tortura (Nadeem). Human Rights Watch ha duramente criticato la decisione di chiudere il think tank senza che siano state sollevate accuse precise. «È incosciente che le autorità egiziane vogliano chiudere una clinica per le vittime di tortura, mentre il ministero dell’Interno commette continui abusi delle persone tratte in arresto», ha spiegato Sarah Leah Whitson, direttore per il Medio oriente. «Le autorità egiziane stanno colpendo uno ad uno tutti i principali difensori dei diritti umani del Paese», ha aggiunto Leah. «Chiudere il Centro Nadeem sarebbe devastante per tutte le vittime di abuso in Egitto», ha concluso.

In realtà, il presidente al-Sisi, dopo il suo discorso di inaugurazione del nuovo parlamento lo scorso sabato, sta procedendo a vele spiegate verso la repressione di ogni forma di dissenso.

Ieri ha firmato un decreto presidenziale con cui ha disposto il prepensionamento di quattro giudici scomodi: Mahmoud Farahat, Talaat al-Ashry, Mohamed Youssed e Saeed Abdel Kerim. I quattro sono accusati di far parte dell’associazione «Giudici per l’Egitto», ritenuta vicina alla Fratellanza musulmana, bandita nel 2014.

Non è neppure escluso che il governo egiziano voglia accreditare la pista delle responsabilità degli islamisti moderati nella morte di Giulio Regeni, come riportato dalla stampa italiana. È evidente che si tratterebbe di un nuovo depistaggio, cadute nel vuoto le ricostruzioni strumentali dell’incidente stradale, della rapina, della comunità gay e dello spionaggio.