Dopo avere registrato l’impossibilità di trovare un interlocutore nella logica di mercato, scrive Stefano Rodotà in Solidarietà, un’utopia necessaria (Laterza, pp.144, euro 14), la solidarietà ha ritrovato una forza autonoma. Si sta sciogliendo il lungo inverno che l’ha ristretta nel terzo settore, nel volontariato, nei legami corporativi. Questo principio ritorna in libri, film e nelle pratiche del lavoro autonomo, in quelle dei dipendenti, del precariato. Si parla di neo-mutualismo, di coalizioni sociali, di lotte per l’uguaglianza e per la dignità delle persone.

Non stiamo tornando alle origini, avverte Rodotà. Eppure la durezza della crisi economica induce a confondere la solidarietà con l’assistenzialismo o la pura beneficenza. Ai più deboli viene negata la loro qualità di soggetti di diritto, mentre la loro dipendenza sociale viene istituzionalizzata. Si parla di «poveri», e non di vittime della lotta di classe. La loro situazione viene affrontata con la logica del dono, mentre invece bisogna riscoprire gli strumenti dell’organizzazione politica e dell’emancipazione degli oppressi. Bisogna trovare cioè un’alternativa al «comunitarismo», l’opzione politica dei populisti per i quali la piccola patria dei simili si rafforza contro gli stranieri e i più deboli tra i deboli.

La solidarietà va ripensata in un contesto almeno europeo, l’unico possibile per evitare di alimentare la frammentazione sociale generale. L’utopia concreta di Rodotà si nutre di un pensiero cosmopolita, considera l’umanità come parte agente di un disegno politico universale, non il rifugio nelle vecchie sovranità dello Stato nazione. Come sempre in Rodotà, politica e costituzione, pratiche e principi giuridici, legami sociali e parità dei diritti, camminano insieme.
Ripercorrendo la storia del movimento operaio, il giurista valorizza la solidarietà degli oppressi che sprigiona una forza dinamica che trascina oltre la logica della fratellanza. A sinistra tale solidarietà è stata considerata uno strumento troppo debole per scalfire l’ordine dominante. Rodotà propone una controargomentazione convincente: senza questo legame non esiste una forza sociale. Questa forza non impone un principio alternativo rispetto alle relazioni commerciali e non afferma valori irriducibili alla mera convenienza economica.

La domanda principale di questo libro è sul soggetto protagonista della solidarietà. Per lungo tempo la sua posizione è stata ricoperta dalla classe operaia. La solidarietà permise di superare la sua eterogeneità, la spinse alla cooperazione e ad affermare i diritti sociali. Oggi questo ruolo propulsivo è venuto meno. Rodotà avanza una tesi: ieri, come oggi, la solidarietà è una pratica che riforma i legami, ricompone un soggetto necessariamente più ampio del precedente, produce un’attitudine cooperativa lì dove sembra scomparsa. La solidarietà è «un movimento» che mantiene l’orizzonte aperto oltre le miserie del presente. Questo è un antidoto al realismo dei rapporti di forza che demoliscono la nuda logica del potere.