Il colpo di grazia è arrivato lunedì pomeriggio, dalla Nbc. Il network che ogni anno trasmette i Golden Globes ha annunciato che, nel 2022, non intende mandare in onda la cerimonia di premiazione organizzata dalla Hollywood Foreign Press Association. Schermo nero, quindi almeno per un’edizione, su quello che il network del pavone ha sempre promosso come «il party dell’anno», una serata di sfarzosa, allegra, autopromozione hollywoodiana che – abbondantemente annaffiata di champagne e spesso condotta da comici con la lingua tagliente – è considerata sia più agile e divertente degli Oscar che un passaggio imprescindibile per arrivarci.

PER IL 2023 – hanno dichiarato i portavoce della Nbc- se ne riparlerà, posto che l’organizzazione effettui veramente le riforme interne che ha promesso. La dura presa di posizione della rete televisiva è solo l’ultima fase di un’alzata di scudi semi collettiva dell’industria del cinema contro un centro di potere considerato per decenni virtualmente intoccabile – il gruppo di ottantasei giornalisti internazionali che assegna i Globes, e che così facendo ha il potere di influenzare il destino di film, serie tv, e la carriera di chi ne è coinvolto. Iniziata l’anno scorso con la denuncia di una giornalista norvegese – inferocita dopo aver provato più volte invano a diventare membro dell’associazione – e approfondita da un’inchiesta del «Los Angeles Times», la crisi della Hfpa aveva raggiunto livelli già molto alti nei giorni scorsi, quando Netflix, Amazon Studios, Warner Bros and Hbo avevano annunciato che avrebbero smesso di lavorare con l’organizzazione, proiettare i loro film e mettere a disposizione i loro talent, fino a tempo indeterminato.
Al cuore dell’esposé del «Los Angeles Times», uscito il 21 febbraio scorso, era una non troppo venata accusa di razzismo, giustificata dal fatto che l’organizzazione non avesse nemmeno un membro di colore. Va notato che la Hfpa è composta di giornalisti di spettacolo stranieri (in alta percentuale europei), che il suo statuto richiede che i membri risiedano a Los Angeles, e che ogni nuovo membro venga sponsorizzato da un membro preesistente dello stesso Paese (il che limita la scelta di possibili nuove entrate aldilà di ogni eventuale pregiudizio razzista).

MA SE LA «GIUSTIZIA SOCIALE» è stata il cavallo di Troia, nel fortino dell’Hfpa (importanti produttori Black come Ava Du Vernay e Shonda Rhymes hanno immediatamente chiesto che l’organizzazione venisse adeguatamente integrata), l’articolo sollevava problemi di stampo etico, potenziali irregolarità rispetto alla natura di un «not for profit», scarsa professionalità e conflitti di interesse. Non è la prima volta che i media rivolgono accuse a questo gruppo che negli anni è diventato sempre più potente, sempre più ricco e istituzionale, pur rimanendo «sui generis», come congelato nel tempo e nelle sue pratiche. Ricordo per esempio un lungo reportage di qualche tempo fa sul «New Yorker». Ma è la prima volta che, prendendo spunto dai giornali, è l’industria stessa a ribellarsi e a dire basta, dando voce a rancori e lamentele covati per anni ma finora solo sibilati nei corridoi degli studios e degli uffici stampa; mentre in superficie publicist, agenti, produttori e star si facevano in quindici per assecondare proprio quei comportamenti che criticavano a mezza voce – richieste eccessive di accesso al talent, privilegi dati per scontati, concorrenza sleale con giornalisti non membri.
In risposta all’articolo dell’«LA Times» e al coro di critiche che aveva sollevato, la Hfpa aveva annunciato una serie di iniziative di riparazione e di riforme – tra cui la promesse di allagare i suoi ranghi e integrarli al 50% entro i prossimi diciotto mesi; una revisione delle regole di ammissione e l’assunzione di un (nuovo) consulente per la diversità.

PER ORA – insieme agli studios di sopra, un consorzio di uffici stampa, e organizzazioni attiviste come Glaad e Time’s Up, insieme e un un primo gruppetto di star, tra cui Tom Cruise che restituirà i premi vinti- l’industria dice: non basta. La Hfpa è temporaneamente a rischio di essere «cancellata». Interessante notare come – aldilà delle accuse di abuso sessuale e discriminazione razziale che stanno al cuore dell’odierno movimento per la giustizia sociale – la gamma dei comportamenti intollerabili si stia velocemente allargando.