Prima di iniziare l’ultimo viaggio sulle finestre degli altri, devo emettere un avviso. Siccome racconterò le budella del condominio in cui vivo, stavolta sarò di parte perché mi muovo in pieno conflitto di interessi. Non voglio essere imparziale, né equa, e nemmeno comprensiva o caritatevole, ma dare voce ai tumulti che anni di convivenza forzata hanno generato. Adesso sapete perché sarò cattiva, quando lo sarò.

 

 

Un condominio è peggio di una famiglia e le ragioni sono evidenti. La famiglia, se non sei un bambino che si deve tenere i genitori che gli capitano, bene o male la scegli, la costruisci strada facendo e, se a un certo punto ti rende infelice, puoi cambiarla. Certo, non sempre è facile e indolore tagliare rapporti annosi, però è un’opzione. I vicini di pianerottolo o di piano o di palazzo, invece, stanno lì e non li puoi sostituire, a meno che si traslochi, ma quasi mai si troverà il condominio perfetto, per cui tanto vale trovare un modus vivendi con quelli che capitano.

 

Convivenze sul pianerottolo

Abito nel palazzo di adesso da quasi vent’anni e in questo arco di tempo gli abitanti hanno subito una metamorfosi. Qualche anziano è morto, qualcuno è andato a vivere altrove e ha affittato, qualcun altro ha venduto. Gli inquilini di un tempo erano più pittoreschi e variegati di quelli di adesso che sono più giovani, a modo, prevedibili, non sbagliano i congiuntivi, non hanno avuto un’infanzia difficile, sanno bene o male che cos’è la gestione di un conflitto, amano le regole e le rispettano. Non che prima ci fosse l’arrembaggio selvaggio, ma le storie personali erano così diverse, e a volte difficili, che nel condominio aleggiava una certa improvvisazione nonché spontaneità popolare. Insomma, ci si divertiva di più.
Il mio collega di condominio preferito si chiamava Nesta e abitava accanto al signor Abbiati. Quando gli amici di mio figlio venivano a trovarlo, essendo milanisti come lui, sbarravano gli occhi e invidiosi dicevano: «Nooo. Abiti vicino a Nesta e Abbiati del Milan?». Quei cari ragazzi erano troppo piccoli per sapere che fra il nostro palazzo e quello che si potevano permettere le due star del calcio ci passava qualche centinaio di milioni di lire (allora c’erano ancora le lire), ma io stavo zitta. Il gioco reggeva finché uno di loro chiedeva di suonare il campanello dello pseudo difensore o pseudo portiere. Allora bisognava dire loro la verità e tutti ci restavano male.

 

 

Nesta mi piaceva perché era un vecchio e gentile signore del sud, era vedovo, aveva una saggezza operaia, teneva la casa come uno specchio, quando usciva era perfettamente stirato, lucidato, impomatato e profumato di colonia, parlava con nostalgia del suo mestiere di meccanico in un’officina dell’Alfa Romeo sotto casa e della moglie che quando buttava la pasta lo chiamava dalla finestra. L’unica sua pecca era che fumava nell’ascensore, ma non riuscivi a volergliene. Come si faceva a tenere il punto con uno che poteva essere tuo nonno, ti apriva la porta in ciabatte, calzini, calzoncini, canottiera a costine, profumava come una cocotte, ti guardava con gli occhi da cane bastonato, il respiro affannato dall’asma e ti diceva: «Abbuongiorno assiggnora. Accheccosa le asserve?».
Al signor Nesta non piaceva star solo, per cui era sempre alla ricerca di qualche amica. Purtroppo ne trovò una del suo paese d’origine che, mi disse la signora Corbacci che era una portinaia facente funzioni nonché zebetta del condominio che sapeva tutto di tutti, era una che amava predire il futuro e aveva già fatto morire un marito di infarto.

Amanti da infarto

Nesta se la portò in casa, in tre mesi si rese conto dell’errore commesso e ci mise un anno a tornare single, spinto anche dai figli che temevano la sposasse lasciandole l’appartamento. Lei andò a vivere altrove, ma non demordeva, per cui ogni tanto lui andava a trovarla di nascosto dicendo anche agli amici una balla.

Una domenica mattina sentii suonare il campanello. Erano i figli di Nesta che volevano sapere se per caso il loro padre mi aveva lasciato le chiavi di casa. Caddi dal pero. Sembravano angosciati. «È successo qualcosa?» domandai. In breve, dovettero informarmi che era morto di infarto quella mattina nel letto della megera, e mi tornò in mente una frase che lui mi aveva detto mesi prima. «Sa, aqquella lì non è ammai accontenta, non mi allascia attranquillo anneanche un’annotte. Io ci ho all’asima, ma allei non lo accapisce».
La perdita di Nesta fu dura da digerire, anche perché era l’unico che riusciva a tener testa alle due anime nere del condominio, il barista e sua moglie. Nati in due città vicine della stessa regione, Nesta e il barista sembravano figli di due emisferi opposti. Tanto era gentile e pulito uno, quanto buzzurro e vuncione l’altro che, nel frattempo, ha avuto un infarto e se l’è cavata. No comment.

 

 

Il barista e la moglie sono il classico esempio di condomini che non vorresti mai avere. Privi di gusto e di passioni, passano la vita fra l’appartamento, sempre nel condominio, e il bar. Il loro unico percorso quotidiano sono due rampe di scale. Non mettendo mai la testa fuori di lì e, avendo un sacco di millesimi, nel condominio si sentono più padroni degli altri. Essendo poi di pessimo carattere e avendo litigato con tutti, nessuno di noi va mai a prendere il caffè nel loro bar. Loro, invece di chiedersi perché, si sono convinti che il mondo li odia e, di conseguenza, odiano gli altri.
Nesta non li sopportava e diceva: «Aqquello è attroppo aggnorante e astupido, apperò non è accattivo. La vera accaroggna è allei, è allei che lo appizziga accontro agli aglialtri, perché aqquella è attanto anvidiosa, anvidia attutti e apparla ammale di attutti». E lo so, gli dicevo io, ma allora perché va sempre a prendere il caffè lì, signor Nesta? «Apperchè accosì li attengo sotto accontrollo. Se inavvece non ci ammetto mai gli appiedi, addivento come acciecato e non so appiù aqquello che addicono. E appoi, certe appersone è ammeglio fargli accreddere che sei loro ammico. Ma io, a aqquelli gli ho già affatto l’accronologgia».

 

I terribili Aqquello e Aqquella

Visto che hanno perso la causa contro i contatori nuovi dell’acqua, la battaglia contro le biciclette in cortile, contro il cambio caldaia, contro il restauro della facciata e delle scale, Aqquello e Aqquella si vendicano votando contro ogni delibera, preventivo, consuntivo o proposta di miglioramento. Ci sono due cantine da vendere a chi non li ha e le chiede da anni? Votano no. C’è da riparare una perdita nel tetto? Votano no. C’è da fare la derattizzazione? Votano no. C’è da cambiare l’antenna? Votano no, sempre no, come due muli che pur di essere contro sono disposti a rimetterci.
Ma la cosa peggiore l’hanno fatta con la spazzatura. Come dicevo nella prima puntata, abbiamo un cortile di dimensioni ridicole che deve contenere: una scala che porta al locale caldaia, un gabbiotto per la spazzatura, vari bidoni per la differenziata, sette o otto biciclette, oltre a fare da retro a due negozi. Tanto per migliorare la situazione, Aqquello e Aqquella hanno deciso che loro dovevano buttare lì anche le loro cassette, cartoni, scatole, più due bidoni del loro umido, di cui uno è bucato. Il risultato è che il cortile è sommerso dai loro contenitori vuoti e dai colami dei loro avanzi.

 

 

Se nel loro bar entrassero l’Asl o i Nas, lo chiuderebbero dopo mezz’ora perché, come ha ammesso in camera caritatis l’amministratore, la loro cucina non ha niente a norma, dalle prese al pavimento, non hanno la canna fumaria e deviano gli odori nella tromba dell’ascensore.
In compenso, non si può dire che non si occupino dell’arredamento del bar. Ecco come. Le cinque ampie luci e i sei metri di altezza sono abbelliti da: un’enorme consolle con specchio stile Luigi XV dipinta d’argento, una macchina per cucire degli anni Cinquanta, una Vespa mezza arrugginita, un cesto di vimini con dentro un covone di frumento finto, piante vere mischiate a piante di plastica, vecchie locandine pubblicitarie, pareti e bancone ricoperti di pannelli argentati, sedie simil tonet nere e bianche, tovaglie a fiori giallo/arancio, un lampadario a gocce e tre neon, tendone esterno bordeaux, una cassettiera della nonna, qualche luce di natale attorcigliata a un ficus sofferente, pavimento di gres marroncino. Neanche un rigattiere svitato riuscirebbe a mettere insieme una poltiglia così.

 

 

Ah, e poi preparano tante tartine per gli aperitivi, quasi sempre deserti, e che poi secondo me surgelano negli enormi congelatori che tengono nelle quattro cantine acquistate negli anni.
Perché sopportate tutto questo? direte voi. Perché l’arte di vivere non si può imporre con le regole, le delibere e i voti in assemblea. L’arte di vivere si sceglie, si coltiva e la si deve volere. Ma la ragione principale è che nel condominio tutti hanno paura di loro, e in nome di un ipocrita quieto vivere non osano dirgli in faccia quello che pensano. Io una volta ci ho provato e Aqquello si è rivoltato gridandomi: «Sei una gigantesca testa di cazzo». Nessuno in assemblea osò dirgli alcunché, e lì ho capito che le guerre non le vinci da solo, tanto meno quelle condominiali. Solo Nesta si alzò e gli disse: «Adesso la asmetti. Non si attratta così un’assignora».

 

Una volta il prode Nesta provò anche a parlargli. Gli disse: «Ma assenti, aqqui ci avvivi anche attu con le tue affiglie. Perché non attieni il cortile più appulito? Perché non fai avvedere che anche noi dell’assud siamo accivili?». Sapete cosa gli rispose Aqquello? «La gente in qualche modo si deve divertire. Io mi diverto così».
Ogni tanto, quando entro nell’ascensore e sento odore di cavolo cotto, penso a Nesta e mi dico che certi infarti vengono proprio a quelli sbagliati.  (4.fine)