È giovane e cresce bene, però non gode di grande notorietà, almeno dalle nostre parti. Parliamo della Celac, la Comunità degli stati latinoamericani e caraibici, che ha concluso ieri il suo terzo vertice a San José, in Costa Rica. All’organismo partecipano tutti i paesi sovrani delle Americhe, salvo il Canada e gli Stati uniti. Un territorio complessivo di oltre 20 milioni di km quadrati e circa 600 milioni di abitanti. La Celac ha aperto i battenti in Messico nel 2010, ma la sua costituzione definitiva è dell’anno successivo, il 2 e il 3 dicembre a Caracas, in Venezuela. Nel 2013 è stata celebrata in Cile, l’anno scorso all’Avana. Nel III vertice che si è svolto a san José, la consegna per i 21 presidenti presenti (su 33 paesi della Celac) è stata quella di «Lavorare insieme» nella lotta alla povertà e per lo sviluppo sostenibile, mettendo mano ai conflitti spinosi dell’area e analizzando il quadro delle nuove alleanze. In primo piano, le relazioni fra Cuba e gli Usa e la strada che sembra aprirsi verso la fine del blocco economico dal 17 dicembre scorso.

Il presidente cubano, Raul Castro, ha voluto mettere le cose in chiaro: «Il ripristino delle relazioni diplomatiche – ha detto – è l’inizio di un processo verso la normalizzazione dei rapporti bilaterali, ma questo non sarà possibile finché esiste il bloqueo, finché non viene restituito il territorio illegalmente occupato dalla base Navale di Guantanamo, finché non cessano le trasmissioni radio e televisive che violano i trattati internazionali, finché il nostro popolo non ottiene una giusta compensazione per i danni umani ed economici sofferti». Il problema principale – «il blocco economico, commerciale e finanziario che provoca enormi danni e costituisce una violazione del diritto internazionale» – è ben lungi dall’essere risolto. Una feroce e unilaterale ritorsione in vigore dal 1962, che Obama «potrebbe modificare in modo sostanziale senza la decisione del Congresso». Invece – ha spiegato Castro – le misure prese per renderlo meno rigido sono «limitate». E dunque, il cammino sarà «lungo e difficile». Castro ha anche criticato duramente «l’armamentismo» degli Stati uniti e dei loro alleati Nato, che vogliono prendere il controllo della frontiera con la Russia, oggetto di «ingiuste» sanzioni internazionali. «Negli Stati uniti – ha detto ancora – ci sono forze che vogliono far abortire il processo prima che cominci».

Il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, ha salutato «il passo coraggioso» compiuto da Obama per metter fine alla «persecuzione criminale del blocco economico contro Cuba». Con Obama – ha detto Maduro – avremo occasione di parlare a Panama il 10 e 11 aprile per il vertice delle Americhe, ma «in modo franco e rispettoso». Il secolo XXI – ha aggiunto – «vedrà la costituzione di un mondo multipolare e la fine dell’imperialismo». I paesi socialisti e progressisti dell’America latina hanno fatto quadrato intorno a Maduro, esprimendo la propria ferma condanna agli attacchi degli Stati uniti contro il Venezuela: «L’impero nordamericano – ha detto il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega – cospira perché in Venezuela si produca un colpo di stato militare sanguinario e brutale». Negli Usa si è rifugiato un militare venezuelano, ex caposcorta, e ha accusato il presidente del parlamento, Diosdado Cabello di essere un narcotrafficante e lo stato venezuelano di essere «narcoterrorista». Stretta di mano, invece, tra il presidente colombiano, Manuel Santos e Maduro, dopo il gelo che era nuovamente sceso fra i due paesi a causa dell’appoggio dato dal ministero degli esteri colombiano alla visita in Venezuela dell’ex presidente Andres Pastrana e dei suoi omologhi di destra (il cileno Sebastian Piñera e il messicano Felipe Calderon) andati a dare lezioni di «diritti umani» a Maduro.

Il processo di pace in Colombia è stato peraltro uno dei temi discusso e appoggiato: in modo non formale da quella parte dell’America latina che scommette sulla ridistribuzione delle risorse per ridurre le disuguaglianze di un continente in cui l’11% della popolazione (68 milioni) vive in povertà estrema. E l’ecuadoriano Correa, a cui tocca la prossima presidenza pro-tempore della Celac, ha denunciato i meccanismi speculativi del mercato nella caduta del prezzo del petrolio.