È il 1948 quando sulla rivista Rinascita Palmiro Togliatti con lo pseudonimo Roderigo di Castiglia scomunica un gruppo di astrattisti che avevano preso parte alla Prima mostra nazionale di arte contemporanea a Bologna: li accusa di aver esposto scemenze, orrori e scarabocchi. Una posizione ferrea, riconducibile al dibattito feroce tra astratto e concreto, come era stato battezzato da Lionello Venturi. La risposta degli artisti, tempestiva e altrettanto aspra, rivendica un forte interesse verso le masse e la volontà di superare la contrapposizione infruttuosa tra arte astratta, tacciata di formalismo, e marxismo.

È QUESTO IL CLIMA in cui nascono gruppi come Forma 1, il Gruppo degli otto, il Mac e l’Art Club di Prampolini che condividono il progetto di superare l’antinomia tra realismo e astrattismo, e di rispondere a un desiderio di confronto con le esperienze delle avanguardie che il fascismo aveva negato, ostacolando nell’arte ogni spinta verso l’esterno.
È questa l’Italia in cui ha inizio il racconto di Lucilla Meloni in Le ragioni del gruppo. Un percorso tra gruppi, collettivi, sigle, comunità nell’arte in Italia dal 1945 al 2000 (Postmedia Books, pp.320, euro 26).
Il libro si costruisce un pezzo alla volta attraverso il materiale d’archivio relativo alle esperienze prese in esame: manifesti, locandine, inviti delle mostre, interventi nelle riviste del tempo, foto della progettazione e degli allestimenti, che forniscono a chi legge efficaci strumenti di studio.
È una narrazione costellata di coppie dialettiche che, nell’arco dei sessant’anni analizzati da Meloni, vengono smontate infiammate superate e sciolte, con esiti ora apocalittici ora integrati.
Individuale / comune può essere una prima coppia con cui attraversare l’esperienza dei gruppi che a partire dagli anni ’60 spinge gli artisti a condividere dichiarazioni di poetica e posizionamenti politici, nel tentativo di recuperare un rapporto con la realtà, smarcandosi tra idealismi dogmatici.

IL GRUPPO SI CONFIGURA in una prima fase ancora come ordito di singoli percorsi: dovrà attendere gli anni ’70 per trovare nella militanza e nella rinuncia all’autorialità maggiore coesione, e trasformarsi in collettivo, con chiare istanze politiche e sociali. Una coesione che si fa più fluida alla fine degli anni ’80 quando si perde il tono assertivo da ciclostilo, recuperando il diritto alla soggettività in chiave autoriale e aprendo a nuove forme di socialità.
Dentro | fuori può essere la seconda coppia per leggere l’evoluzione dei gruppi e il loro posizionamento rispetto al perimetro istituzionale. Una dialettica che ha spinto l’arte in un movimento dall’interno degli spazi adibiti all’arte a quello pubblico, al contesto urbano, ai luoghi autogestiti. Un movimento che ha corso parallelo al passaggio dall’opera all’ambiente – orientando le ricerche del Gruppo T, del Gruppo N e del Mid negli anni ’60 – fino all’azione e al processo, come traccia dell’azione stessa.
Volendo trarre una domanda da questa ricostruzione ci si potrebbe chiedere cosa ritorna nel presente di questa forza centripeta verso il gruppo. Una risposta possibile da indagare può essere simboleggiata dal Leone d’oro al collettivo Neon Realism composto da Rugile Barzdžiukaite (regista), Vaiva Grainyte (letterata) e Lina Lapelyte (compositrice e performer) che ha realizzato la performance Sun & Sea (Marina) per il Padiglione Lituania della Biennale d’arte di Venezia 2019. O anche dalla decisione di affidare la curatela di documenta 15 al collettivo indonesiano Ruangrupa.

ULTIMO FRAME di questo discorso può essere la fondazione, il primo maggio 2020, di Art Workers Italia, che si è definito un gruppo informale, autonomo e apartitico di lavoratrici e lavoratori delle arti contemporanee, che ha unito al suo interno artiste, performer, curatrici, ricercatrici, educatori museali e mediatrici culturali, allestitori, producer, tecnici dell’illuminotecnica e del suono, registrar, videomaker, critiche d’arte, art writer, storici dell’arte, guardasala, trasportatrici, assistenti di galleria, project manager, consulenti, coordinatrici, restauratori, grafici, illustratrici, fotografe, animatori, assistenti di studio, comunicatrici, social media manager e addetti ufficio stampa, allo scopo di tutelare il lavoro dell’arte.
In un tempo che lascia i singoli orfani di un corpo sociale, e che vive una nuova forma di solitudine nel paradosso dell’incontro digitale, le dialettiche che hanno attraversato gli ultimi sessant’anni sembrano impraticabili. Tuttavia il lavoro in gruppo sembra godere di buona salute e sembra sciogliere al suo interno gli antagonismi canonici tra discipline, tra artisti e curatori e, in maniera visionaria, quella tra le diverse figure professionali.
L’approccio dialettico rivela la sua carica metodica, mostrandosi funzionale al suo stesso superamento, e alla costruzione di modi alternativi di fare arte.