I romani ne avevano avuto sentore, non da oggi né da ieri. E pure tutti coloro che si sono trovati almeno una volta nella vita alle fermate dell’autobus della città eterna, come il tempo trascorso alla banchina. Ma ora c’è la conferma: Bruno Rota, da cinque mesi direttore generale dell’azienda municipalizzata dei trasporti di Roma, usa toni inequivocabili per descrivere il baratro su cui si trova Atac spa. Un «paio di settimane» al massimo, dice, poi l’azienda non sarà più capace di «far fonte agli impegni finanziari». E all’orizzonte appare lo spettro della procedura fallimentare. La situazione, spiega Rota in una paio di interviste pubblicate ieri, è «assai pesantemente compromessa e minata, in ogni possibilità di rilancio organizzativo e industriale, da un debito enorme accumulato negli anni scorsi».

«Il tempo è finito, è il momento di dire la verità», sembra sbottare l’ex manager di Iri ed ex direttore generale di Atm che certamente non ha trovato tali e tante difficoltà alla guida dell’omologa azienda milanese e che invece snocciola uno per uno, come fossero grani di un rosario di penitenza, tutti i problemi apparentemente senza soluzione dell’Atac.

Un parco macchine vetusto, l’impossibilità di interventi di manutenzione, i fornitori che non fanno più credito, un esercito di dipendenti malati di «assenteismo consolidato» e irriformabile, tanto che «si fa fatica a coprire i turni», e «c’è gente che non arriva a tre ore effettive di guida»; gli accordi sulla timbratura del cartellino rimasti «lettera morta», lo strapotere di sindacati niente affatto rappresentativi (che hanno «trecento iscritti su 11 mila dipendenti», dice, e chissà se si riferisce a Cambia-menti m410, il sindacato vicino al M5S la cui leader Micaela Quintavalle minaccia una sorta di sciopero bianco dei trasporti nella Capitale).

Per il pagamento degli stipendi dei dipendenti – spiega Rota che riferisce di aver informato della situazione e parlato a lungo con la sindaca Virginia Raggi – «anche questo mese ce la facciamo ricorrendo a misure eccezionali e chiedendo un impegno straordinario al Comune di Roma, che però non è ripetibile all’infinito. Sono misure tampone. Ripeto: bisogna avere il coraggio di affrontare la drammatica dimensione del debito che si trascina da tempo. Occorrono misure serie e immediate. Bisogna ripristinare un sistema di controllo sulle regole che pur ci sono ma che da tempo nessuno rispetta, per cui ognuno fa ciò che gli pare».

Parole di fuoco, e le reazioni sono immediate. Soprattutto in Campidoglio, dove i rumors danno Rota già in bilico e prossimo all’uscita. Il presidente della commissione Mobilità, il pentastellato Enrico Stefàno, attacca duramente il dg: «Magari in questi primi tre mesi poteva cominciare a dare dei segnali, ad esempio rimuovendo i dirigenti responsabili di questo disastro o quelli completamente inutili, come lo abbiamo invitato a fare più volte». Pronta e ancora più dura la replica di Rota: «Più che di dirigenti da cacciare, lui, e non solo lui, mi hanno parlato di giovani da promuovere. Velocemente. Nomi noti. Sempre i soliti. Suggerisco a Stefano, nel suo interesse di lasciarmi in pace e di rispettare chi ha lavorato. Onestamente. Sempre i soliti».

Il consigliere di SI Stefano Fassina è il primo a chiedere di convocare urgentemente un consiglio comunale straordinario: «Lo chiediamo da mesi ma a sindaca e la maggioranza M5S continuano a rinviare». Poi lo fa anche il Pd, che invita anche la Procura di Roma ad indagare sulla replica di Rota a Stefàno. «Come già con Parentopoli – scrive su Fb il dem Michele Anzaldi, della commissione Trasporti della Camera – è opportuno che i magistrati verifichino se non siamo di fronte ad un altro capitolo di grave malcostume, ingerenza della politica e violazione della legge nella municipalizzata romana dei trasporti».

I problemi di Roma sono «strutturali», fa notare Fassina, e il confronto con Milano non regge. Rota, aggiunge, «avrebbe potuto ricordare che larghissima parte del debito di Atac deriva dall’azzeramento prima e da un lento e parziale ripristino poi dei trasferimenti che la Regione Lazio deve all’azienda come previsto da legge nazionale. Indicare i lavoratori come la fonte di tutti i guai va di moda, ma non aiuta a risanare l’azienda». Mentre il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, coglie l’occasione per rivendicare che «noi ce l’abbiamo fatta: il Cotral quattro anni fa produceva 26 milioni di debiti all’anno, di disavanzo l’anno, ma quest’anno ha fatto 8 milioni di euro di attivo».